lunedì 24 giugno 2013

La duplice triade della realizzazione


Potete trovare tutto nell’universo: 
il cielo, la terra, persino l’inferno.
Omraam Mikhaël Aïvanhov 

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C’era una volta un’aquila, una talpa e un pesce che decisero di mettersi in società per trasportare un pesante fardello. L’aquila pensò che il miglior modo per spostare un peso fosse quello di utilizzare la forza delle sue ali e quindi cercò di librarsi verso il cielo. La talpa la pensava diversamente e tentò di procedere attraverso una galleria che le sue zampe avevano testè scavato. Il pesce infine riteneva che fosse l’acqua l’elemento ideale attraverso il quale il fardello avrebbe potuto essere trasportato. Il risultato finale di tutti questi sforzi fu che il peso rimase fermo al suo posto. Forze contrastanti che agiscono in direzioni diverse si annullano vicendevolmente.
Che cosa può insegnarci questo breve racconto?
Innanzitutto ci suggerisce che per raggiungere tanto un piccolo obbiettivo quanto un alto ideale occorre che vi sia coordinazione ed unità di intenti. Quello che vale nella vita sul piano materiale, può essere esteso con profitto anche all’ambito spirituale. Ecco allora che la tripartizione degli animali presente nella storia sottende ad una duplice triade.  
In primis possiamo individuare un primo nucleo costituito da pensieri, sentimenti ed azioni che devono fondersi armoniosamente e sostenersi reciprocamente affinchè l’uomo proceda e non rimanga fermo sul sentiero. Da questo crogiolo alchemico emerge la consapevolezza data dall’interdipendenza e non dall’indipendenza di questi fattori che armoniosamente fanno spostare il fardello.
Il secondo nucleo è composto dalla triade volontà, intelligenza e amore. Il rischio è quello di prendere una direzione univoca e sviluppare una sola qualità a detrimento delle altre. Ne deriva un disequilibrio davvero pericoloso. Proviamo a pensare a che cosa può portare l’uso indiscriminato e reiterato della volontà senza né il discernimento della saggezza, né il calore dell’amore. Concentrarsi solo sulla conoscenza comporta lo sviluppo di un’erudizione e di un apparato intellettivo che, senza l’apporto delle altre due qualità, risulta inevitabilmente sterile e di nessun aiuto sul cammino spirituale. Infine, pensare che l’amore, senza alcuna direzione e privo dell’approfondita comprensione delle leggi che governano l’universo, possa salvarci, è un’utopia dannosa e fuorviante. L’equilibrio, l’integrazione, l’armonia, qualità che già di per sé rappresentano vibrazioni poste almeno un paio di ottave più in alto rispetto al nostro comune procedere, sono la chiave per sviluppare coerentemente i principi fondamentali che tendono in direzioni apparentemente contrapposte.

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In cammino

Nella vasta selva di pensieri elaborati dal nostro intelletto, la saggezza ci può aiutare a selezionare gli spunti migliori. Se vogliamo che essi si traducano in azioni, dobbiamo esercitare una ponderata forza di volontà, che ci consenta di convogliarli dal piano delle possibilità fino a quello della realizzazione. A questo punto possiamo rivestire l’azione di sentimento, utilizzando l’amore come propellente affinchè possa manifestarsi pienamente nel mondo.
Il primo passo verso il risveglio sta dunque nel riuscire a comprendere e padroneggiare le qualità divine che siamo chiamati a sviluppare. La triade prioritaria è costituita da volontà, saggezza e amore, Padre, Figlio e Spirito Santo e da qui possiamo partire, un passo alla volta, con pazienza e perseveranza, lungo il cammino della realizzazione. 

Fabrizio

OFFICINA ALKEMICA

"L’innamoramento, la ricchezza, la potenza, la sicurezza… sono qualità che possono essere sviluppate attraverso un percorso alchemico, evitando così di continuare a elemosinarle da persone e circostanze esterne a noi. Come conseguenza, la realtà che ci circonda non potrà che riflettere i nostri mutamenti interiori. Qui sta la vera chiave per il cambiamento del mondo."







giovedì 20 giugno 2013

Nessun uomo è un Maestro _ PARTE SECONDA


Con la sua parola un maestro spirituale si sforza di
condurre i suoi discepoli il più lontano possibile,
ma poi deve tacere.
Omraam Mikhaël Aïvanhov



Nella prima parte di questa riflessione ho parlato della differenza sostanziale tra maestri e Maestro e di quanto la responsabilità individuale sia determinante per la riscoperta di sé.

La sorgente
Comprendere che il Maestro è in ciascuno di noi non significa inneggiare all’anarchia, bensì acquistare consapevolezza delle proprie risorse interiori e accettare l’onere e l’onore di utilizzarle, anziché cercare costantemente una soluzione all’esterno. Avere un guru o un maestro di vita può sembrare un privilegio, e potrebbe esserlo come occasione per scoprire più di sé attraverso il confronto. Tuttavia, il rapporto tra insegnante e allievo, tra maestro e discepolo, si basa su equilibri che tendono a fossilizzarsi, perpetuando pericolosamente la credenza di poter attingere le proprie risposte da una fonte esterna a se stessi. È questa la lezione di cui parla Joyce Collin-Smith in Nessun uomo è un Maestro, raccontando la propria esperienza all’interno di diversi movimenti spirituali, a contatto con leader carismatici e maestri attivi in più continenti, nel pieno fermento del secondo Novecento, un periodo travagliato, in cui l’Occidente iniziava a manifestare l’urgenza della crescita interiore. Ma spesso lo scotto da pagare per quei frammenti di insegnamento sconosciuto si rivelò troppo alto. La storia di questa cercatrice, astrologa, tarologa e conferenziera internazionale a sua volta fondatrice di un gruppo di ricerca interiore, è un’odissea dello spirito, che attraversando un’epoca ritorna ad una verità senza tempo:
«Ho lentamente maturato l’idea che i mezzi per svilupparsi ed evolvere risiedano da qualche parte dentro al proprio sé e che non dovremmo mai dimenticare questo fatto nemmeno per un momento. Difatti ci potrebbero essere dei maestri che hanno molte più conoscenze e che in qualunque tempo hanno svolto delle opere di pregio nel mondo; ma ciascuno richiede un prezzo. E ogni prezzo che include vendere una parte della propria libertà di crescere naturalmente per aprire i propri centri di consapevolezza a lungo termine si dimostrerà troppo alto.»      Delegare il proprio potere a qualcuno che si ritiene più saggio o qualificato di noi nel dare risposte e trovare soluzioni è davvero un prezzo troppo alto, perché subdolamente torna a farci sprofondare nell’inconsapevolezza. L’idea che qualcun altro possa prendere decisioni al posto nostro è pura illusione. Possiamo anche adottare uno stile di vita simile e compiere le medesime scelte, ma le conseguenze di ogni azione, o non azione, ricadranno sempre su chi ne è il fautore: ricadranno su di noi. Poiché siamo esseri unici, quanto potrà valere l’imitazione delle scelte altrui ai fini della nostra realizzazione?

Corrente di vita
Per vivere davvero la propria vita è essenziale riscoprire la fedeltà verso se stessi. Per questo ci rivolgiamo con gratitudine ai maestri di vita che mettono in pratica i loro insegnamenti, non perché essi detengano la verità assoluta, ma per la loro testimonianza concreta di ascolto della propria voce interiore, e forse non c’è esempio più ispiratore di quello dato da chi scoprendo se stesso ha saputo mettersi a servizio dell’intera umanità. L’autentica realizzazione ispirata del sé deriva dalla capacità di ascoltare la propria guida interiore: il Maestro al quale ciascuno intimamente aspira a riconnettersi
Dunque, cosa si intende precisamente per Maestro? Quella parte di noi, scintilla di spirito, talmente in alto e nel profondo che per rendersi manifesta ha bisogno di un mezzo per esternarsi: come dovrebbe fare l’iride dell’occhio, organo della vista, utilizzando uno specchio per scorgere se stessa, allo stesso modo il Maestro, organo di realizzazione, si presenta a noi sotto varie forme, che riconosciamo nostre e al contempo superiori poiché provenienti dall’altrove, da quello stato atemporale e aspaziale che chiamiamo eternità.
Sia chiaro però: il Maestro non è un’entità. Ormai sono diffusissimi i messaggi di quanti dichiarano di dialogare con esseri incorporei di ogni genere: siamo passati dall’Età del Ferro in cui le realtà oltre il Velo venivano ignorate o negate, ad una prima fase dell’Età dell’Oro in cui si smania di divulgare la riscoperta delle dimensioni dell’altrove, senza troppo riguardo per l’effettiva utilità di ciò che vi si trova. Vi è una reale differenza tra l’ostruzionismo oscurantista del Ferro e la luce abbagliante dell’Oro, oppure, pur in presenza di un ampliamento delle percezioni, siamo sempre esposti al rischio di accecamento della consapevolezza individuale?
Accogliere la luce
Come distinguere un’entità dalla guida di noi stessi? Non sembra possibile in termini di discorso razionale e nemmeno tramite l’intuizione, che riportandoci all’unione con il Tutto svela la separazione come realtà illusoria, necessaria solo all’interno dello spaziotempo ma inconsistente nel resto della creazione. Tutto è Uno, l’Uno è Tutto, come recita il Tao, e tuttavia sembra molto opportuno distinguere una buona guida da un falso consigliere sotto mentite spoglie: di nuovo è essenziale ricorrere all’esercizio del discernimento.
Saper distinguere il Maestro coincide con l’imparare ad ascoltare la voce della coscienza…Sì ma quale delle sue tre componenti? Quella un po’ ristretta e ordinaria, che ci fa dire “io” e si riveste del guscio protettivo dell’ego per definire il proprio senso di identità, oppure la parte abissale subcosciente, che detiene tutta la forza di ciò che non sappiamo ancora di sapere o di potere, o magari la supercoscienza o sé superiore, quel punto omnicomprensivo nell’eterno che compartecipa alla grazia della sorgente divina? Ciascuna di queste componenti coscienti ha una voce propria, delle particolari istanze e facoltà innate o acquisite, e quando collaborano o quantomeno cercano di comunicare a vicenda, nasce la possibilità di accorgersi dell’emergere di un’unica voce, l’organo della coscienza unificata finalmente presente a se stessa: il nostro Maestro interiore, infinitamente luminoso, sapiente, e amorevole, onnipresente in quello spazio sacro ed eterno che ci pervade e ci comprende.
Essere se stessi, riscoprendo il proprio spazio sacro, è il viaggio di tutta una vita, di molte vite, e la meta dell’esistenza è proprio questo viaggio. Lungo il cammino il Maestro attende e accompagna ognuno di noi.
 Mariavittoria

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lunedì 17 giugno 2013

Nessun uomo è un Maestro _ PARTE PRIMA


Non chiamate nessun uomo Maestro.
Il Maestro è in voi stessi.


Oggi ho scelto come epigrafe una citazione che fornisce l’indicazione fondamentale per orientarsi lungo il sentiero della ricerca interiore: è la stella polare del cercatore spirituale e pare sia stata pronunciata da Pitagora, uno dei grandi maestri dell’Occidente.
Stando al prezioso messaggio di questa epigrafe potrebbe sembrare strano che mi riferisca al suo autore chiamandolo proprio maestro, ma la differenza tra un maestro e il Maestro, per quanto ortograficamente minima, diventa essenziale sul piano ontologico dello spirito e corrisponde a quella esistente tra dio e Dio.
Al mondo agiscono moti dèi, forze sovraumane che in vario modo e secondo la propria natura collaborano o concorrono alla creazione, ma come sorgente e fine l’universo contempla un unico Dio. Analogamente, l’umanità ha conosciuto molti maestri, esseri dotati di talenti e poteri straordinari che hanno scelto di dedicare una o più vite alla guida e al servizio del prossimo su questo pianeta. Non mi riferisco soltanto agli insegnanti spirituali, bensì a tutti coloro che in ogni tempo e luogo si adoperano a beneficio dell’umanità affinché riguadagni sempre più coscienza di sé, delle proprie potenzialità e di come svilupparle a scopo evolutivo.
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La crescita della consapevolezza
«Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro» disse Papa Giovanni Paolo II in visita ai minatori sardi, ma il senso della vita come opera magna dell’individuo si ritrova nelle parole di molti altri esseri umani consapevoli e carismatici.  Oscar Wilde rivolgendosi ad André Gide si rammaricava dicendo: «Volete sapere qual è stato il grande dramma della mia vita? È che ho messo il mio genio nella mia vita; tutto quello che ho messo nelle mie opere è il mio talento», pensate se avesse fatto esattamente il contrario! Come sarebbe il mondo se ciascuno di noi impegnasse il proprio talento per fare della propria vita un capolavoro…Ben presto si trasformerebbe in un luogo diverso, fucina di virtuosi e caleidoscopio di sogni in via di realizzazione, probabilmente un posto migliore in cui vivere. Eppure fare della propria vita il giardino in cui curare la crescita è esattamente l’etica testimoniata dai maestri di vita, una lezione da diffondere non tanto a parole quanto nei fatti. A poco valgono le prediche e i discorsi di principio se non sono accompagnati dall’esempio concreto e non vi è nulla di più pratico ed effettivo del maestro che indica la via percorrendola, come un faro getta luce non solo davanti a sé ma tutt’attorno, in modo che chi si voglia avviare nella stessa direzione abbia un punto di riferimento cui tendere.
Più ci si avvicina a questi fari viventi, esseri ordinariamente straordinari impegnati a tracciare una via nella materia, più è possibile rendersi conto di quanto siano in movimento, in cammino come ogni altra creatura nel divenire. Di fatti, la principale occupazione di ogni maestro è la crescita, che implica non essere mai uguali a se stessi, aumentando la propria levatura e giungendo a varcare nuovi confini della consapevolezza verso orizzonti strada facendo sempre più ampi. Di conseguenza, anche l’insegnamento dei maestri non è mai statico, cresce e si moltiplica in rapporto all’evoluzione di cui si rendono pionieri. Ma l’aspetto veramente meraviglioso del loro operato sta nel fatto che ciascuno di noi può parteciparvi, lasciando che il loro insegnamento attecchisca nel nostro animo per darci modo di produrre nuovi frutti di azioni e parole ispirate.
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Devozione
Quanti di noi invece, forse scorgendo troppo da lontano un possibile faro della ricerca interiore, vi si aggrappano ciecamente, e abbagliati dallo splendore improvviso della rivelazione ne dimenticano la costante dinamicità, scambiando le scoperte in divenire di un maestro per verità assolute e condannandosi alla limitazione nel replicare un insegnamento alla lettera, così come era stato fissato in un altro tempo e in circostanze necessariamente diverse da quelle attuali? Magari si tenta perfino di canonizzare questi insegnamenti, con il buon intento di fissare dei principi, che poi però diventano precetti e regole e infine dogmi del tutto incapaci o incuranti davanti alle esigenze evolutive degli individui.
Ciascuno di noi è unico e pur avvalendosi della presenza di compagni di viaggio, e talvolta della loro guida, ha l’opportunità di scoprire da sé il proprio percorso; si tratta di un diritto alla conoscenza (lett. “fare esperienza”), ma come tutti gli onori è anche un onere che sta ad ognuno assumere consapevolmente.  
In ogni periodo buio il predominio di qualche tipo di autorità sovraindividuale ha sempre portato con sé conseguenze fatali alla coscienza dei singoli: l’offuscamento della consapevolezza e della responsabilità individuale a solo vantaggio di una collettività spersonalizzante e perfino disumana. Le epoche di involuzione, cicliche come ogni altro tempo, si sviluppano dalla deriva indiscriminata di un principio potenzialmente benefico, che trasformandosi in un assioma giunge ad un punto di non ritorno, in cui non è più possibile riconoscere la salutare saggezza dell’antico detto «errare è umano, perseverare è diabolico». Così, l’amore per la conoscenza attraverso la riscoperta dei testi filosofici si fossilizzò nell’ipse dixit del dogmatico oscurantismo medievale, l’affermazione della fede degenerò nel Dio lo vuole dei massacri nelle guerre di religione, il ferreo esercizio della volontà venne dirottato nello sterminio di massa la cui infamia risuona ancora nelle parole Il lavoro rende liberi.
È sconcertante il potere dell’essere umano di pervertire quella che potrebbe essere l’inizio di una rivelazione o scoperta interiore (un principio) in un motto di distruzione; basta togliere responsabilità all’individuo e delegare ogni potere ad un’autorità tanto più forte quanto più lontana e astratta dalla coscienza individuale.

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Peccato che il frutto raccolto nel giardino di Eden, dotazione divina con cui siamo scesi sulla Terra, sia proprio il discernimento. Quale scopo evolutivo ci sarebbe nell’aver mangiato dall’Albero della conoscenza del Bene e del Male, avvalendosi della facoltà di distinguere tra i due principi di dualità, se non l’opportunità di esercitare tale discernimento assumendosene la piena responsabilità?
La piena responsabilità del discernimento, in altre parole il risveglio della consapevolezza, è l’obiettivo che pervade l’insegnamento di ogni maestro e proviene direttamente dalla connessione con il Maestro al di sopra e nel profondo di ciascun essere umano.
 Mariavittoria


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lunedì 10 giugno 2013

Meditazione: un addestramento alla libertà


 Adesso ti dico perché sei qui:
Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c'è.
È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo.
Non sai bene di che si tratta, ma l'avverti.
È un chiodo fisso nel cervello, da diventarci matto.
È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando...
(Morpheus - dal film Matrix)


Si parla sempre più di meditazione, posizione del loto, vuoto mentale e dei procedimenti per raggiungere la pace. L'argomento desta interesse e sempre più persone si incamminano sulla via della ricerca interiore.

Spiegare cos'è la meditazione è un' impresa ardua, non perché sia in sé una pratica complicata, la verità è che ne esistono tipologie semplicissime e altre molto più complesse, da mettere in pratica solo dopo aver raggiunto un certo livello di addestramento.
La questione è proprio questa: non è possibile riassumere l’argomento meditazione in poche parole perché le pratiche esistenti in questo campo sono moltissime, probabilmente quasi infinite. Dipendono dalla cultura nella quale si sono sviluppate, dal periodo storico, dalla tradizione, dal lignaggio, dal maestro. All'interno di una stessa cultura o tipologia di pratica si possono trovare centinaia di derivazioni e differenze. Ma possiamo stare tranquilli, perché questo non è affatto importante: non è necessario perdersi in una ricerca infinita di quale possa essere la tecnica di meditazione “migliore” o più adatta a noi. Quello che conta davvero è iniziare.

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La via della gioia
Se siamo interessati alla meditazione significa che, anche se non ce ne siamo resi conto, in un determinato momento della nostra vita abbiamo iniziato ad osservarci. Da questa osservazione è nato del disappunto, come un fastidio o un' insoddisfazione di fondo.
L'inizio di questa osservazione è anche l'inizio di una ricerca, perché cominciare ad osservarsi ci porta a cercare di farlo in maniera più approfondita per trovare una risposta alle domande che hanno iniziato a sorgere. La meditazione è uno strumento per cercare e trovare queste risposte, ci permette di scendere a un livello più profondo della nostra mente, dove siamo in grado di interagire con noi stessi in modo più completo.

Le molte tecniche di meditazione sono mezzi per rendere familiare alla nostra mente e al nostro cuore un modo di funzionare più positivo e meno dannoso per noi stessi e per gli altri.
Nessuno ha bisogno di familiarizzare con scatti di rabbia, tristezza, egocentrismo, ansia, stress. Esse sono semplicemente attitudini che ci siamo abituati a considerare parte del nostro carattere e che sorgono repentinamente in maniera automatica. Quello di cui abbiamo bisogno è acquisire familiarità con ciò che non ci viene automatico. In effetti, attraverso il lavoro su noi stessi ci accorgiamo che gran parte delle nostre reazioni sono automatiche e che spesso, contrariamente a quanto ci è stato fatto credere, non siamo affatto liberi di reagire come vogliamo a un determinato stimolo esterno.

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La via della libertà
Cos'è la libertà per un cercatore interiore?
La vera libertà non è come spesso siamo portati a pensare, la possibilità di fare impulsivamente tutto quello che ci pare. La vera libertà è poter scegliere come reagire alle situazioni che ci si presentano: quando una persona ci fa un torto, quando ci viene fatto un complimento o perfino quando battiamo il mignolo del piede contro il comodino… Viviamo incatenati alle nostre reazioni automatiche, che ciecamente difendiamo a spada tratta e delle quali spesso andiamo addirittura orgogliosi. Pensiamo che reagire con rabbia a un'offesa sia un nostro diritto, un atto di libertà. In realtà è solo una secrezione automatica della nostra personalità, sulla quale non abbiamo alcun potere.

La meditazione è in grado di rompere la catena delle nostre reazioni distruttive e guidarci con mano salda verso un nuovo potere personale. La capacità di fermarci un momento quando serve e poter finalmente scegliere come porci davanti a una situazione. È come osservare il mondo al rallentatore e rendersi conto come per miracolo di avere lo spazio e il tempo interiore per compiere una scelta. Non necessariamente gli eventi dipendono da noi né è detto che siamo in grado di influenzarli, ma la nostra reazione ad essi è sempre e unicamente in nostro potere.

La meditazione in qualsiasi forma si presenti non è altro che un addestramento alla libertà, una preghiera che esprimiamo ogni qualvolta vogliamo imparare ad agire e a scegliere davvero.
Stefano 


Vi interessa la meditazione?
Potete trovare altri utili esercizi nel mio e-book gratuito 



I CINQUE SEGRETI DEL DRAGO

“Com’è possibile, Maestro, che tu sia sempre sereno e pacato?”, chiedeva qualcuno. “Com’è possibile che tu non lo sia?”, rispondeva lui ridendo. “Non nuotare contro corrente. Non nuotare seguendo la corrente. Esci dall’acqua. Diventa ciò che sei davvero”...









giovedì 6 giugno 2013

Il ritorno di Diogene


Non si acquisisce la conoscenza
senza un minimo di rischio
(Stephen King, Cell)


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Nel segno dell'erudizione
Per sua natura l’animo umano è portato all’esplorazione. La spinta evolutiva, come un fuoco vivido e silente, ci nutre attraverso la curiosità e ci porta incessantemente a cercare la conoscenza. Quest’ultima non è una parola vuota: si fa viva e si fa carne, ma a condizione che non si limiti ad un mero esercizio intellettuale. Alla fine, nel profondo, all’anima è del tutto indifferente constatare che la personalità si è baloccata con migliaia di libri per il puro gusto di accumulare nozioni, schemi di pensiero e teorie. Di per sé l’erudizione conduce direttamente alla superbia e alla vanagloria che lastrica di illusioni il nostro inferno personale. La conoscenza va esperita, poggia su basi pratiche e non ha bisogno di grandi proclami, solo della voglia sincera di intraprendere il cammino.

Quali indicazioni abbiamo sul giusto atteggiamento per imboccare il sentiero che conduce alla  conoscenza? Molte, forse troppe, tante quante le scintille di spirito che brillano in ogni essere vivente, ma possiamo trovare indicazioni ed ispirazione nel mondo dei simboli, veicoli di senso potentissimi per arrivare al tessuto stesso della nostra essenza, attraverso un linguaggio che, eludendo la razionalità, ci connette con le profondità del nostro io.
Sulla strada ci viene in soccorso il nono arcano dei Tarocchi, l’Eremita. Umile, non modesto, alza la lanterna per illuminare i primi passi sul sentiero. E sono i primi passi che contano, quelli che riusciamo vedere, quelli che possiamo scandagliare con il bastone da viaggio, gli unici che abbiano importanza in quanto reali, nell’adesso. Il cammino si affronta e si costruisce passo dopo passo.   

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Niente sulla terra può renderci più luminosi della conoscenza quando è diretta ad illuminare noi stessi, le nostre profondità insondate.
Se la conoscenza è così importante, da dove arriva quella tendenza opposta che irrompe nelle nostre vite, trattenendo il passo sul nuovo sentiero per dirottarci sulla strada tracciata e sicura?
Accontentarsi.   
È sufficiente ascoltare la vibrazione di questa parola: Accontentarsi.
Riecheggia il suono della contrazione, del chiudersi in se stessi proteggendo con alti fossati il cumulo di schemi, teorie, ipotesi e pregiudizi che ci definisce. La maschera dell’ego, un involucro che da nostra protezione si è fatto prigione del sé.

Dall’accontentarsi all’accettare di rimanere nell’oscurità dell’ignoranza, il passo è brevissimo. Implica un pertinace ed ossessivo arroccarsi in uno status quo indifendibile, fatto di giustificazioni, alibi e volontà di non conoscere, fermandosi prima, fermandosi sempre prima. Prima di farsi troppe domande. Prima di capire che si può osare, che occorre guardare avanti, vivere nel presente e non fermarsi ad un passato che tende incessantemente a replicare se stesso.

Se il rischio è attardarsi ed accontentarsi, il rimedio è semplice, non necessariamente facile, implica una tensione verso l’alto che occorre coltivare. Ci si concentra su un aspetto da sviluppare e gli strumenti arrivano, le risorse, visibili e sottili, si rendono disponibili: a noi spetta compiere il primo passo, quello della scelta, che ci orienta come persone in cammino e irradia la luce della conoscenza nella gioia della ricerca. Il viaggio è la meta: serenità interiore e pace tra gli uomini.
 Fabrizio

INIZIA IL VIAGGIO ALLA SCOPERTA DI TE

"E' proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante."







lunedì 3 giugno 2013

Gocce di luce


 La luce splende nelle tenebre…
 (Gv 1, 5)




Dalla teoria del mare primordiale, passando per la filosofia presocratica fino alla ben più antica tradizione vedica, l’acqua è stata sempre riconosciuta dall’uomo come elemento della vita, del cielo e degli oceani che conferiscono il caratteristico colore al nostro amato Pianeta Azzurro.

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Simbolicamente l’acqua rappresenta la memoria e ogni genere di legame che tiene unito le particelle nel perenne moto di attrazione dei corpi, dall’immensità delle galassie alle minuscole intensità del mondo subatomico. Dante ci ricorda che è “l’amor che move il sole e l’altre stelle”, non si tratta affatto di un frivolo sentimentalismo, bensì della degna conclusione di un grande percorso iniziatico, poiché nulla è più vincolante del legame d’amore, che una volta sublimato si rivela la panacea in grado di risanare e fare evolvere tutte le creature, distaccandole dagli istinti egocentrici per elevarle al di sopra delle limitazioni della materia. 

A livello fisico, le proprietà di fluido, trasparente e riflettente fanno dell’acqua un ottimo conduttore di elettricità, quindi di energia, e pertanto anche delle impressioni che suggestionano la nostra psiche, imprimendovi sentimenti e ricordi. Astralmente, l’acqua, veicolo del principio femminile, è legata alla Luna, domina delle maree e della conoscenza misterica, ma al contempo in quanto elemento vitale e simbolo del legame d’amore rimanda anche al Sole, non soltanto lume della ragione ma soprattutto radiosa sorgente di quella luce inarrestabile che splende e rischiara incondizionatamente.



Perle nel tempo progetto vajra condivisione risorse gratuite incontri gocce luceI fotoni, costituiscono la parte più longeva e versatile del mondo fisico, particelle che viaggiano rapidissime e incontrastate nell’intero universo: potremmo immaginarli come messaggeri che informano la materia inondandola di pura luce, la manifestazione spirituale più preziosa per la vita e il benessere di tutti i nostri corpi, nota anche come oro eterico. Meditare o visualizzare luce ha un effetto naturalmente rasserenante, riequilibrante e si può considerare una tecnica sempre valida per ogni essere vivente in cerca di sollievo o di ispirazione. Non è certamente un caso che gran parte dei percorsi spirituali per definire una condizione molto significativa o addirittura ottimale cui tendere parli di illuminazione: siamo naturalmente orientati verso la luce che ci eleva e rischiara il cammino, specialmente quando emana direttamente dalla nostra scintilla vitale.

Quanta luce è racchiusa in una goccia d’acqua! Nella rugiada del mattino possiamo ammirare il riflesso dell’arcobaleno, e la stessa Terra si potrebbe immaginare come una gigantesca goccia d’acqua screziata di sfumature variopinte, così preziosa e viva.

Che dire delle gocce di luce di noi esseri umani? Le lacrime sono una nostra secrezione involontaria ma altamente significativa perché provengono dall’organo da sempre considerato lo specchio dell’anima: gli occhi. A ben vedere, il rapporto tra la superficie di un corso d’acqua e le sue profondità riflette quello che intercorre tra apparenza ed essenza nell’individuo: una superficie increspata d’onde non necessariamente significa turbolenze profonde, al contrario acque tranquille ma poco limpide sono spesso segnale di correnti burrascose che possono agitarsi negli abissi marini tanto quanto nell’animo di persone all’apparenza chete ma dallo sguardo tempestoso.



Il mondo nello specchio
Sì, abbiamo una luce negli occhi, quella che traspare dalla nostra scintilla vitale, e talvolta questa luce sgorga sottoforma di gocce d’acqua salata, memorie in forma liquida che ci ricordano il mare della vita da cui siamo emersi e in cui le vicissitudini si rimescolano nelle correnti del karma e dell’esistenza nella materia. Come è possibile “vedere l’universo in un granello di sabbia” si può altresì scorgere la perfezione luminare racchiusa in una lacrima.

Si dice che le lacrime dell’unicorno, simbolo di purezza e innocenza, possano guarire ogni male; certamente quelle dell’essere umano sono indice della sua stessa umanità e ci contraddistinguono dal regno animale per una consapevolezza cosciente che talvolta trabocca di compassione o sofferenza.

Percorrere la Via non è facile: è compito del viandante lasciare che la luce al proprio interno risplenda serenamente, senza farsi offuscare dalle circostanze esteriori, effimere e transitorie come la forma stessa nella quale questa scintilla d’eternità ha scelto di manifestarsi sulla Terra. Anche in questo l’Acqua ci può essere d’esempio: nella sua malleabilità ritroviamo la forza di chi partecipa al flusso della vita trovando il giusto equilibrio tra essere e divenire, tra forma e dinamicità. Tutto scorre; ma il cercatore sul sentiero aspira all’unione cosciente con il Tutto, come la goccia d’acqua che si fonde nel mare dell’esistenza restando consapevole della propria unicità. Così ognuno di noi nasce alla consapevolezza come essere vivente, goccia e al contempo mare in un oceano di luce, l’universo, che danza al ritmo della creazione. 
Mariavittoria

GUARISCI LA TUA VISTA

"Quasi tutte le persone con una vista indebolita si descrivono come se non fossero in grado di vedere e questo non rispecchia il concetto che sono loro a creare la loro realtà, altrimenti dovrebbero dire che si sono trattenute dal vedere, o che hanno evitato di vedere, di guardare qualcosa; e, se analizziamo bene la cosa, noteremo che questo è vero."