lunedì 30 settembre 2013

La meditazione dei 21 respiri: calmare la mente


Egli, recatosi in una foresta, 
ai piedi di un albero in un luogo isolato, 
siede incrociando le gambe, mantenendo il corpo eretto, 
applicando la consapevolezza sul volto. 
Attento egli inspira e attento egli espira. 
(Gautama Buddha)

Oggi vorrei portare l'attenzione su un argomento molto importante per chi si dedica alla meditazione. Provando alcuni esercizi come quelli proposti nei miei precedenti post vi sarete probabilmente accorti che la cosa più difficile durante la meditazione è riuscire a mantenere l'attenzione, riuscire a focalizzare la mente facendo in modo che essa smetta il costante chiacchiericcio automatico al quale è abituata.
Questo è uno scoglio molto difficile da superare, sia che ci si dedichi a esercizi di percezione di se stessi, sia che si pratichino meditazioni che implicano una visualizzazione o pensiero guidato.
C'è infatti una notevole differenza tra il pensiero automatico e il pensiero guidato.

progetto vajra perle nel tempo pensieri ripetitivi chiacchiericcio della mente meditazione respirazione
Il pensiero automatico è quello che utilizziamo, o forse sarebbe meglio dire che ci utilizza, per il 99% del nostro tempo. Si tratta di pensieri che sorgono come conseguenza di oggetti o fatti che vediamo intorno a noi, di parole che leggiamo, di sensazioni che proviamo, e possono arrivare a creare catene anche infinite di collegamenti, che a volte occupano la nostra mente per ore senza che noi ne siamo coscienti. Il risultato di solito è “svegliarsi” di colpo e chiedersi «ma come ho fatto ad arrivare a pensare a questo?».
Il pensiero guidato o volontario è invece totalmente indirizzato da noi, dall'inizio alla fine del ragionamento la nostra attenzione è totalmente rivolta all'immagine che abbiamo deciso di visualizzare, o all'argomento o sequenza di argomenti che abbiamo deciso di prendere in analisi  questo processo è chiamato meditazione analitica. Solo questo si può definire vero pensiero.

Controllare la mente e ridurre il pensiero automatico continuo è direttamente legato alla capacità di riuscire a restare consapevoli, ed è di grande importanza se si vuole giungere a uno stato di rilassamento e praticare la meditazione immersi nella calma e nel silenzio interiore, oltre che esterno. Imparare a calmare la mente ed essere presenti ci sarà utile in molte occasioni della vita e ci permetterà di agire con maggiore consapevolezza davanti a scelte ed eventuali difficoltà.

Si potrebbe pensare che se non si elimina prima il chiacchiericcio della mente non si può riuscire  a meditare, ma in realtà la meditazione stessa serve anche come mezzo per ridurre i pensieri automatici. Molti esercizi di meditazione sono delle vere e proprie carote da fare inseguire alla mente in modo che smetta di pensare a tutto il resto.

progetto vajra perle nel tempo mente addestrata concentrazione meditazione respirazione
Questa interruzione della “voce nella testa” per focalizzarsi su un solo pensiero volontario porta già di per sé un beneficio notevole, oltre che un senso di rilassamento e di pace e,  tra le altre cose, aiuta a diventare consapevoli dell'esistenza di una presenza silenziosa oltre il pensiero.
Quindi non è sbagliato passare direttamente alla pratica della meditazione anche senza essere riusciti prima ad essere un po' più presenti, perché a volte è la pratica stessa ad aiutare a disattivare il pensiero automatico.

Quello che segue è proprio un esercizio semplicissimo che nelle scuole antiche viene utilizzato per calmare la mente. Può essere utilizzato da solo, oppure come preliminare di qualsiasi altro esercizio, compresi quelli che abbiamo visto nei precedenti post.

Meditazione dei 21 respiri 

progetto vajra perle nel tempo meditazione respirazione

  •  Sedetevi con la schiena dritta ma non tesa
  • Respirate profondamente un paio di volte e cercate di rilassare il corpo lasciando andare tutte le tensioni.
  • Ora iniziate a contare mentalmente i respiri
  • contate «inspiro uno» «espiro uno»
    mantenete l'attenzione sul volto,
    seguite il respiro che entra e che esce dalle narici,
    «inspiro due» «espiro due»
    «inspiro tre» «espiro tre»
    e così via fino a 21
    Non forzate il respiro, lasciate che sia naturale, semplicemente osservatelo e contate.
  • Appena vi accorgete di esservi distratti e vedete che state pensando ad altro, che la vostra attenzione si è spostata dal respiro, tornate al respiro ricominciando a contare da uno. 

Consigli

Se questa pratica vi riesce bene e vi rilassa potete decidere di contare fino a 100.

Se volete renderla ancora più rilassante e stimolare contemporaneamente l'attenzione eseguitela contando alla rovescia, da 21 a 0 oppure da 100 a 0.

Stefano



Potete trovare questo e altri utili esercizi nel mio e-book gratuito 





lunedì 23 settembre 2013

Intrecci e trame vitali

La vita è costruita in modo tale che 
gli eventi non possono mai corrispondere 
alle nostre aspettative.
Charlotte Bronte

I narratori vanno a caccia di storie, quasi mai per raccontare semplicemente una serie di eventi. Lo fanno per trovare un contenitore che permetta loro di esprimersi compiutamente. La trama, fondamentalmente, è un sottile filo che serve per accompagnare il lettore. Quello che è davvero importante è ciò che rimane attaccato al susseguirsi di fatti e azioni. Tuttavia anche l’involucro ha una sua valenza in quanto permette, crea le premesse, rende possibile, lo svolgimento delle vicende.
Ciò ha un preciso riscontro nella vita.
La serie di eventi che caratterizza la nostra esistenza è strutturata in modo tale da poter far emergere tutte le lezioni, gli insegnamenti, le conoscenze che sono necessarie al nostro sviluppo interiore e alla nostra evoluzione. Nella trama che sottende alla nostra esistenza siamo chiamati a leggere e a riconoscere le leggi che regolano la creazione, a prendere appunti, ad istruirci.
Tante volte ci chiediamo come mai uno scrittore abbia scelto di raccontare proprio quella storia. Allo stesso modo, spesso ci lamentiamo di quello che accade nella nostra vita e ci fermiamo lì senza mai sospettare che  quella sia stata la cosa migliore che ci potesse capitare. Per questa nostra distrazione continua, invece di esaminare l’accaduto,  assumendo un atteggiamento umile e costruttivo come scolari sui banchi di scuola dell’esistenza, ci ribelliamo, tentiamo con ogni mezzo di rimuoverlo dalla nostra coscienza e  ce ne allontaniamo rabbiosi e sdegnati. Invece di osservare a fondo un evento perturbante, vorremmo non fosse mai accaduto, tentiamo con ogni mezzo di sottrarci, pensando che non ci riguardi, che non tocchi a noi, che ci sia un errore, che si tratti di sfortuna, del caso, di una coincidenza. 
Tuttavia, anche ciò che ci appare odioso o spiacevole, nient’altro che un’esperienza negativa, nasconde un insegnamento che ci è indispensabile e la riprova di questa verità sta nel fatto che, qualora la nostra miopia ci faccia scappare invece di affrontare la prova a noi riservata, questa rispondendo inesorabilmente ad una legge cosmica, ritornerà a noi per essere esperita. Nulla avviene per farci un dispetto. Fuggire, voltare le spalle, è negare l’evidenza e andare contro il nostro stesso interesse.


La vita svolge il suo compito in modo magnifico: ci sottopone costantemente ad esami, prove di e lungo il percorso, affinchè possiamo concretamente renderci conto se abbiamo ben compreso le lezioni che riteniamo di aver imparato. Lo fa con stile, costruendoci attorno storie che sta a noi leggere, interpretare, meditare, rielaborare, attenti a non confondere il contenitore con il contenuto. Non siamo piccoli passeggeri su un autobus che ci porta verso destinazioni ignote, sovente contro la nostra volontà. Siamo guidatori coscienti che si avventurano in territori sconfinati con gli occhi ben aperti per esplorare e fare nostre le esperienze che la nostra anima ha scelto di fare. Con questa consapevolezza risvegliata il viaggio sarà molto più utile di quanto avessimo mai sperato: non un travagliato rincorrere una logica che ci sfugge, ma un saggio apprendistato pieno di gioia e di entusiasmo. 
Fabrizio


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lunedì 16 settembre 2013

La legge delle ottave


Poiché a chi ha, sarà dato e sarà nell’abbondanza;
ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.
Mt 13, 12

Nel mio post precedente ho fornito una sintesi della definizione di psichico secondo la gnosi, ma sia chiaro che con questo termine ci si riferisce agli stessi individui che in altri insegnamenti vengono chiamati monaci guerrieri, cercatori sul sentiero o viandanti. Ciò che questa parte di umanità, nel cui novero probabilmente rientriamo anche io e te, cerca è una maggiore consapevolezza di sé, il risveglio della coscienza, la grazia divina e l’illuminazione eterna che immancabilmente passano attraverso l’apertura del Cuore.
Naturalmente, in questo discorso il Cuore è da intendersi come centro energetico che regola le funzioni sottili ed è sede della scintilla divina, una parte di Assoluto che dimora in noi ma di cui solo raramente, o magari saltuariamente, ci accorgiamo. Come il motore in una macchina, è il Cuore a generare la forza propulsiva necessaria per salire di ottava: un centro del Cuore aperto irradia una grande energia che ci orienta verso l’evoluzione; inoltre, rendendo sempre più acuta e capace la nostra consapevolezza, esso genera ulteriore energia disponibile per l’ascesa. 


Al contrario, se il centro del Cuore rimane chiuso o debole, non solo non siamo in grado di produrre energia sufficiente per evolvere, ma restiamo soggetti alle fluttuazioni della disponibilità energetica del nostro apparato psicofisico, che a fasi alterne sarà più o meno capace di far fronte alle situazioni, con conseguenti sbalzi di umore e disagi totalmente dipendenti dalle circostanze esterne, dalle cosiddette “avversità” della vita. Stando alla legge dell’entropia, per di più, in questa situazione di inerzia non solo non abbiamo energia da orientare verso l’evoluzione, ma tendiamo a scendere in termini di consapevolezza verso le dimensioni inferiori o infere. Trovarsi in una fase di spirale discendente, nella quale avviene un movimento lungo un’ottava ma in senso involutivo, è precisamente una condizione in cui “piove sempre sul bagnato”, mentre fare uno sforzo consapevole per invertire la tendenza produce nuova energia della coscienza in grado di rilanciarci verso l’alto. 


È da intendere in questo senso la tanto dibattuta frase del vangelo di Matteo che ho scelto come epigrafe: chi investe il talento, cioè le proprie energie, riceverà in abbondanza, ma chi stagna nell’inerzia non farà che cadere sempre più in basso, perdendo anche quel poco di potenziale che si era ritrovato ad avere ma che non ha saputo o voluto utilizzare e valorizzare.
Mariavittoria

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lunedì 9 settembre 2013

Controcorrente: Io e Noi nel flusso della vita



«Ci sono due pesci che nuotano,
a un certo punto incontrano un pesce anziano
che va nella direzione opposta,
fa loro un cenno di saluto e dice:
"Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?"
I due pesci giovani nuotano un altro po',
poi uno guarda l'altro e replica:
"Che cavolo è l'acqua?"».
David Foster Wallace

Quanto è interessante questo aneddoto che David Foster Wallace scelse come introduzione per una sua conferenza davanti ai laureandi del Kenyon Collage.
Dapprima strappa un sorriso, uno di quelli con i quali, inconsciamente, si sottointende, con un vezzo di superiorità: “Ma guarda come sono ridicoli quei due giovani pesciolini”. E non ci curiamo di loro, passiamo ed andiamo avanti. Però non basta. Non basta fare finta di niente pensando che non ci riguardi. Perché tutto ciò che incontra la nostra attenzione ci dà delle informazioni di cui è saggio rendersi consapevoli.


Dunque c’è un pesce, anziano, probabilmente uno di quelli che hanno impiegato il loro tempo coscienziosamente, facendo fruttare i propri talenti e trasformandoli in una consapevolezza che illumina il percorso. Per fare questo ha imparato a nuotare controcorrente, prendendosi la briga di sfidare le leggi precostituite; ha posto domande e si è impegnato a scoprire le risposte; ha, necessariamente, sentito il bisogno di non adeguarsi al pensiero ed al comportamento degli altri, cercando, con le sue sole forze, la sua strada. La via è personale, infatti viaggia da solo, un Io che solca le onde, guizzando nell’oceano, un po’ appesantito dall’età. Eppure si muove con leggerezza in quell’elemento, l’acqua, che ha imparato a conoscere, a guardare, a sperimentare senza che l’automatismo o l’abitudine ne facciano un dato assolutamente trascurabile.

L’essere da soli ad affrontare il percorso non implica neppure per un istante l’immagine della solitudine; ha invece molta affinità con il concetto di libertà, la stessa che, come ricorda Wallace, “richiede attenzione, consapevolezza, disciplina, impegno”. Ed è vero: accodarsi al banco di pesci, seguirne la scia, uniformarsi alla massa è molto più comodo. Coltivare la libertà è invece un processo che implica una attenzione costante, la volontà di tessere una trama unica, senza precedenti e senza compromessi, forgiandola giorno per giorno. 
C’è un’altra considerazione che l’aneddoto ci suggerisce: riguarda la contrapposizione fra l’Io, il pesce anziano, e i Noi, gli altri due pesci. I Noi sono tutte le aggregazioni limitanti che pullulano nel nostro mondo: la società, le religioni organizzate, la famiglia, i partiti, per citarne solo le principali. Sono quelle che ci suggeriscono velatamente, o ci dicono esplicitamente, che cosa pensare e in che termini farlo. Ci chiedono di abdicare la nostra capacità di discernimento per abbracciare il loro punto di vista. Mirano a determinare i nostri obiettivi con il pretesto di sapere quello che è meglio per noi e come ottenerlo.

Dall’altra parte c’è l’Io, l’individuo che non demanda a nessuno quali scelte gli competono e infrange le consuetudini, “gli usi e costumi”, scava sotto la superficialità e l’apparenza per poter guardare con i propri occhi come stanno le cose. E poi c’è l’acqua, l’esistenza in cui siamo immersi, il mondo che noi stessi abbiamo creato, ma di cui il Noi non ha consapevolezza, consapevolezza che l’Io ha invece l’opportunità di sviluppare. La vera sfida è dunque abbandonare il Noi, il pensiero rassicurante che qualcuno abbia già fatto le nostre scoperte e ce le possa consegnare su un piatto d’argento, e accogliere l’Io che accetta la continua scoperta di sé, il cambiamento ed il divenire.
Fabrizio


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martedì 3 settembre 2013

Meditazione: un minuto di percezione di se stessi


Sii presente a ogni respiro.
Non fare che la tua attenzione vaghi
per la durata di un solo respiro.
Ricordati di te stesso sempre
e in ogni situazione.
Sufi Abdulhalik

Nel post Meditazione sul Maestro Interiore in 10 passi abbiamo considerato una meditazione che utilizza la visualizzazione e si conclude con un periodo di contemplazione. Oggi vedremo un tipo di esercizio diverso, attraverso il quale ci dedicheremo alla percezione di noi stessi, conosciuta anche come ricordo di sé.


Utilizzo l'espressione percezione di se stessi per mettere in evidenza il tipo di attenzione che dobbiamo sviluppare durante questa tipologia di esercizi. Infatti non si tratta di tenere viva e fissa nella mente un'idea, ma di sentire e percepire noi stessi nel vero senso della parola, mentre svolgiamo una certa azione o prestiamo attenzione ad un determinato fenomeno esterno.
Se frequentiamo corsi o leggiamo libri sulla crescita personale avremo sicuramente sentito dire spesso che l'umanità è addormentata e che passiamo la nostra vita in uno stato di sonno verticale, pur credendo di essere svegli. Anche nella maggior parte dei testi sacri di ogni tradizione si pone grande enfasi sul tema del risveglio, del vegliare, dell'aprire gli occhi.
È inutile cercare di spiegare cosa sia questo stato di sonno verticale a parole, il modo migliore per cominciare ad intuire quanto possano essere diversi i vari stati di veglia di un essere umano è provare a praticare alcuni esercizi di percezione di se stessi.
Si tratta di esercizi spesso molto semplici ma che presto scopriremo essere talmente lontani dal nostro normale stato di coscienza da creare numerose difficoltà.


L'esercizio dell'orologio


meditazione esercizio ricordo si se attenzione un minuto orologioPrendete un orologio analogico, grande o piccolo che sia, l’importante è che abbia la lancetta dei secondi e che possiate seguirla con facilità.

Mettete l'orologio di fronte a voi a una distanza alla quale possiate vederlo bene, senza alcuno sforzo.

Per un minuto seguite la lancetta dei secondi, senza contare né creare altri concetti astratti nella vostra mente, semplicemente cercate di essere presenti.

Mentre seguite la lancetta che si muove, tentate di conservare anche la percezione di voi stessi, avvertite la vostra presenza in quel momento, percepite la realtà dell’affermazione “Io sono presente, in questo momento sono proprio qui”. Attenzione: non si tratta di ripetere questa frase ossessivamente e nemmeno lentamente fino al punto di rilassarvi, si tratta di percepire fisicamente che voi siete presenti mentre guardate l'orologio.

Provate per un minuto, ma non sforzatevi più a lungo, e se doveste sentire che anche questo sforzo diventa eccessivo interrompete temporaneamente l’esercizio per riprenderlo con calma in un altro momento.

Se la vostra mente si distrae, come sicuramente succederà, appena ve ne rendete conto cercate di riportare l’attenzione sulla lancetta e su di voi.

Suggerimenti

Un minuto è molto breve, prestate attenzione o potreste ritrovarvi a superare il tempo stabilito senza aver compiuto neanche un secondo di esercizio! Se dovesse succedere proprio questo non arrabbiatevi e non tentate di impegnarvi subito per un altro minuto, decidete piuttosto di riprovare a svolgere l’esercizio la mattina o la sera del giorno successivo.

In questo tipo di esercizi anche il “fallimento” è parte del risultato perché aiuta a comprendere lo stato di addormentamento, di inconsapevolezza. Infatti, il fine di queste pratiche non è riuscire a percepire voi stessi per il tempo stabilito, ma rendervi conto dello stato di sonno in cui normalmente si è immersi e della differenza qualitativa tra i momenti in cui siete presenti e quelli in cui non lo siete. 


Più ci proverete con fretta, rabbia o ansia per raggiungere un certo risultato, meno l’esercizio “riuscirà”; prendetevi semplicemente il vostro minuto per provare questo esperimento e non preoccupatevi di nient’altro.

È possibile compiere l'esercizio anche osservando le onde del mare, oppure lo scorrere di un fiume,  l’importante è non forzarsi e non protrarre la pratica per più di un paio di minuti, soprattutto all’inizio.

Stefano

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