lunedì 28 ottobre 2013

Equitazione dell'anima


Getta il cuore oltre l’ostacolo
E il cavallo lo seguirà.



Osservare la realtà offre molti spunti di riflessione per il nostro percorso. Poiché ogni cosa è la manifestazione di una realtà più sottile, tutto ci informa: eventi, oggetti e persone recano informazioni e sovente un messaggio da comunicarci, una lezione da imparare. Ad esempio, hai mai sentito il motto in epigrafe? Cerchiamo di vedere cosa può indicare dal punto di vista esoterico.


In una classica gara ippica di salto a ostacoli lo spettatore vede il percorso e suppone che fantino e cavallo avvicinandosi ad una siepe si preparino a saltarla. Tuttavia, il fatto che quel percorso preveda il superamento di un certo ostacolo non implica che esso verrà effettivamente superato. Nel mio post precedente abbiamo visto la differenza tra inerzia attiva e inerzia passiva. Analogamente, osservando dall’esterno la gara non è possibile stabilire se il cavallo che compie una traiettoria parabolica si stia preparando a saltare (fase di “rincorsa”) o se stia scartando di lato in preda all’esitazione (fase di “resistenza”). Al contrario, un fantino esperto, trovandosi a vivere direttamente la situazione, è in grado di percepire la differenza tra questi due atteggiamenti esteriormente simili ma qualitativamente opposti e potrà neutralizzare la resistenza e affrontare l’ostacolo insieme alla propria cavalcatura. Per riuscire a superare il blocco, l’essere umano non ha vinto la riluttanza del cavallo, bensì ha reso inoffensiva la propria resistenza. Il cavallo, infatti, di per sé seguirebbe la propria natura istintuale, che è sì quella di correre, ma non salterebbe un ostacolo quando potrebbe facilmente aggirarlo, a meno di non essere stato addestrato a farlo, imparando a fidarsi ciecamente di chi lo guida. Chi pratica equitazione sa bene che è solo il fantino a stabilire l’andatura, decidendo quindi come far effettuare il percorso al cavallo che gli affida tutto il proprio potenziale. Di conseguenza, l’esitazione talvolta osservabile dallo spettatore nel comportamento del cavallo è in realtà un momento di indecisione che l’animale, creatura estremamente empatica, percepisce in chi lo guida; si tratta di una disarmonia, un’increspatura nella volontà di accordo tra pensiero e azione che determina l’impasse lungo il percorso. 


 Se consideriamo fantino e cavallo come rappresentazione del rapporto tra coscienza e forza vitale, tra anima e corpo, possiamo renderci conto di quanto la sintonia tra queste due entità distinte ma temporaneamente simbiotiche sia essenziale. Sintonia, infatti significa “accordo di suoni”, e si può intendere come sinonimo dell’armonia che sottende all’esistenza in quanto tale e al rapporto funzionale tra uno e tutto. Quando una coscienza incanala consapevolmente la forza vitale di cui dispone e l’anima abita coscientemente il corpo sperimentiamo sintonia, l’accordo fondamentale, e possiamo superare qualunque blocco, anzi, ogni ostacolo si mostrerà non più come minaccia bensì come opportunità, proprio come la siepe del percorso ippico da barriera ignota e pericolosa si trasforma in un’occasione per mettere alla prova le capacità e l’affiatamento di cavallo e cavaliere, insegnando loro ad andare oltre la propria natura istintuale. Senza cavalcatura, il fantino non potrebbe saltare, mentre il cavallo senza cavaliere non avrebbe la consapevolezza necessaria per rendersi conto che può andare oltre i propri limiti, imposti da migliaia di anni di condizionamento da parte della specie e delle proprie esperienze ristrette. Analogamente, senza un corpo e la forza vitale a sua disposizione l’anima non potrebbe fare esperienza della realtà, pertanto è essenziale che si renda cosciente del corpo e della forza vitale come strumenti di evoluzione e impari ad esprimersi in sintonia con essi. Come è possibile raggiungere la sintonia? Un passo fondamentale consiste nell’imparare ad ascoltare il proprio corpo. Solo imparando a conoscere questo accordo, la vibrazione radiante dell’esistenza intrinseca in ogni cosa, sapremo distinguere la voce del cuore, la melodia che emana dalla nostra autenticità. 
Mariavittoria  

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lunedì 21 ottobre 2013

La bussola dell'evoluzione


Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei,
e se so di che cosa ti occupi
saprò che cosa puoi diventare.
J.W. Goethe



In un post precedente ho introdotto il funzionamento della legge delle ottave, un principio esoterico fondamentale che agisce in stretto accordo con quello dell’entropia nel regolare i rapporti tra staticità e dinamismo. 



Il significato della parola staticità è univoco, intendendo uno stato di inerzia, mentre il termine dinamismo comprende la possibilità di scegliere tra due movimenti uguali e contrari: uno verso l’alto (spirale ascendente o evoluzione) e uno verso il basso (spirale discendente o involuzione). Poiché nell’umanità la tendenza all’evoluzione è innata, è naturale che chi voglia essere umano aspiri ad evolvere, tuttavia, come si è già detto l’ascesa non avviene in modo lineare,bensì con un movimento a spirale, attraverso un percorso curvilineo nel quale a volte si ha l’impressione di non stare crescendo, anche se in realtà si tratta di passaggi funzionali al raggiungimento dello stadio evolutivo successivo. Ad es. prima dell’ascesa vera e propria spesso è necessaria una fase di adattamento per raccoglie l’energia necessaria al compimento del processo evolutivo, che sovente richiede un cambiamento notevole su tutti i piani. In questo senso è fondamentale imparare a distinguere le fasi della crescita, che prevedono momenti di apparente stallo o retrocessione, dallo stato di inerzia e stagnazione che se protratto innescherà una spirale discendente o involutiva.  

Considerando quanto detto fin’ora sul movimento spiraleggiante dell’evoluzione, ci rendiamo conto che talvolta può capitare di vivere un’apparente “ricaduta” nell’ordinarietà di quella dimensione illusoria comunemente accettata come “realtà”; ma in questi casi per sapersi orientare diventa necessario chiedersi se si tratta di una fase transitoria e funzionale all’evoluzione (come potrebbe essere una rincorsa prima di spiccare un grande balzo) o se ci si trova invece a tergiversare, catturati in una rete di esitazioni nella quale le nostre resistenze stanno per avere il sopravvento e farci regredire (involuzione). Come facciamo a renderci conto se stiamo facendo qualche passo indietro per stabilizzare la nostra presa di coscienza del cambiamento imminente (fase di “rincorsa”) o se stiamo proprio opponendo resistenza al cambiamento e quindi all’evoluzione?

La differenza tra una fase di “rincorsa” (inerzia attiva) e una di resistenza (inerzia passiva) non è percepibile ordinariamente, perché all’esterno questi due passaggi presentano le stesse caratteristiche apparenti: un movimento nullo o contrario rispetto al divenire. Tuttavia lo scarto in termini qualitativi è enorme e si basa sulla consapevolezza interiore dell’uso che stiamo facendo del nostro potenziale.

Le ottave sono potenzialmente infinite, tanto quanto la scala di livello dell’essere, ben diverso e oltre il semplice esistere, e il completamento di ciascuna dipende dalla nostra capacità di essere in ogni momento coscienti dei reali obiettivi che motivano pensieri, parole e azioni intraprese. 

Domandarsi sinceramente dove, con chi siamo e per quale motivo esprime la volontà di vivere consapevolmente. Trovare la risposta a queste domande richiede pazienza, umiltà e onestà intellettuale. È necessario riuscire ad essere molto sinceri con se stessi per evitare la tendenza automatica dell’intelletto a trovare delle giustificazioni mirate a distogliere l’attenzione dalle reali motivazioni che potrebbero non piacerci, restituendo un’immagine di noi stessi diversa da quella alla quale siamo soliti fare riferimento. L’umiltà sarà nostra alleata nell’individuare senza ipocrisia le differenze tra le risposte alle domande chi sono? e chi credo di essere? O come voglio apparire? E infine la pazienza ci verrà in aiuto una volta presa coscienza del fatto che solo imparando ad ascoltare incondizionatamente il Cuore, voce della propria autenticità, sapremo in ogni istante cosa vogliamo veramente e per quale motivo, e questo ci darà l’opportunità di conoscerci per ciò che siamo, ma anche di orientarci, individuando le motivazioni reali dei nostri comportamenti e pensieri. Il Cuore è la bussola dell’evoluzione, grazie ad esso è possibile riguadagnare la propria umanità e diventare esseri umani. Come dice l’illuminato in epigrafe, esiste un rapporto diretto tra chi siamo e le nostre frequentazioni (legge di risonanza) e tra le nostre occupazioni e cosa vogliamo veramente (legge dell’attrazione), quindi tra ciò che siamo e ciò che stiamo per diventare. La scoperta di questi nessi profondi causali e acausali eleva la consapevolezza; in questo percorso di risveglio il Cuore, centro superiore di coscienza, sarà la nostra guida.
Mariavittoria

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lunedì 14 ottobre 2013

Dove splende la luce del risveglio

Il più grande ostacolo
al risveglio è che l’uomo
pensa di essere già cosciente
e pienamente libero
Salvatore Brizzi

Vi è familiare la sensazione che le cose si sgretolino come polvere proprio nel momento in cui le stringete fra le dita? Avete mai sentito il rumore delle certezze infrangersi fragorosamente con un tuffo sordo?
Per esempio la certezza di essere in grado di fare esattamente quello che vi siete imposti di fare.
A me è capitato quando mi sono riproposto di mettere in pratica un semplice esercizio proposto da Salvatore Brizzi. Rimuginavo fra me e me: la conoscenza va esperita, gli esercizi solamente letti e relegati ad un mero compiacimento intellettuale sono inutili. Fin qui, tutto bene, tranne per il fatto che l’esercizio nascondeva in sé un “tranello spirituale”.
Ma andiamo per ordine. L’esercizio dice: nella giornata di oggi siate consapevoli di ogni volta che passerete sotto una porta. Tutto qui. Semplice, lineare. Potete cimentarvi anche voi e trarne i vostri personali riscontri. Coinvolgete pure i giovanissimi che lo tramutano istintivamente in un gioco.


Dunque, sposto il mio selettore nella modalità schiacciasassi, pensando che un semplice atto volitivo sia più che sufficiente a garantire il buon esito di questa piccola prova, quindi, pensando di essere ben equipaggiato, mi muovo deciso verso la meta finale. Ma mi fermo dopo pochi passi… Che cosa sta succedendo? Le porte sono così sfuggenti: per ogni volta che mi accorgo di passare sotto una di esse, chissà quante mi saranno sfuggite. Bastano poche ore di frustranti tentativi e la realtà della cocente disillusione dell’esperimento emerge in tutta la sua sfolgorante chiarezza.
È irritante, ma devo constatare il fallimento dell’esercizio: ci sono lunghi momenti in cui la coscienza sembra “evaporare” aprendo varchi e vuoti in cui io non sono presente. Dunque sono addormentato: non so nemmeno fare un piccolo esercizio di risveglio. Occorre che mi eserciti con costanza. Bisogna che prenda le mie precauzioni e attacchi il problema con un arsenale fatto di volontà e pertinace determinazione. Perché se riesco a fare l’esercizio, sarò risvegliato. Davvero?



Quest’esercizio, in realtà, non serve per risvegliarsi. Serve solamente per constatare di essere addormentati e questo è preoccupante, preoccupante al punto da fare paura. È auspicabile che questa consapevolezza incuta un timore sacro, al punto da costringerci ad indirizzare i nostri sforzi ed energie al superamento di questa condizione decisamente insoddisfacente. Ci impone di riflettere sulla nostra incapacità di fare quello che vogliamo ed, in ultima analisi, ci mette faccia a faccia con la fragilità delle nostre velleità di crescita. Non che sia necessario farsi demolire in ogni afflato che ci spinge verso l’alto, ma essere ben consci del duro lavoro che ci aspetta può suggerirci un atteggiamento più umile e costruttivo.
Oltre alla necessità di non essere hobbysti della spiritualità, occorre valutare seriamente la nostra dotazione effettiva, per dare ai nostri sforzi quel costrutto e quella direzione fondamentali per la nostra evoluzione.
Confondere l’esercizio con il risveglio è un errore grossolano.
Il risveglio non è un esercizio portato a compimento. È lo stato naturale a cui gli esseri in cammino tendono. Il risveglio non è il prodotto di un esercizio. Il risveglio è. Semplicemente.
È vedere e non solo guardare; è accorgersi; è la condensazione in un unico punto, reale, di due sconfinati mondi virtuali, il passato ed il futuro.
E se questo non vale la nostra totale attenzione, allora nulla la vale. Il Sole splende per tutti, ma non tutti ne sono consapevoli e tra essi ancora meno agiscono per raggiungerlo.
Fabrizio 


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lunedì 7 ottobre 2013

Il libro del cielo


Tutto ciò che non sai
può essere usato contro di te
Monia Zanon


Da tempi immemori l’essere umano scruta il cielo, ma i metodi e le motivazioni di questa sistematica osservazione sono variati considerevolmente nel corso dei millenni. Le prime testimonianze scritte sullo studio degli astri furono rinvenute in seno alla civiltà che si ritiene abbia inventato la scrittura, il popolo di Sumer, dove ebbe origine la prestigiosa tradizione di studiosi del cielo vissuti nella valle del Tigri e dell’Eufrate. Tuttavia, è bene ricordare che gli osservatori dei cieli mesopotamici furono sempre astronomi astrologi: essi non si limitavano ad osservare e registrare i fenomeni celesti, bensì tentavano di darne un’interpretazione numinosa.

Sfera armillare trinitaria
I babilonesi chiamavano il firmamento Shitir Shame, “il libro del cielo” nel quale si trovano scritti i dettami degli dèi, ed il supremo fine dell’osservazione celeste era proprio leggere la volontà divina per sapersi regolare di conseguenza. Coloro che erano in grado di svolgere questo incarico rispondevano direttamente ed esclusivamente al sovrano, il quale, tramite una corrispondenza incalzante, si aspettava di ricevere incessantemente consigli e indicazioni sulla condotta da assumere in ottemperanza ai segni del cielo. Antichi casi di reale superstizione? No, semplice buon senso.
Superstizione, difatti, è il derivato italiano di un termine latino introdotto da Cicerone nel De natura deorum per indicare coloro che invocavano l’intervento degli dèi affinché conservassero superstiti, vale a dire “sani e salvi”, i loro cari partiti per la guerra. L’esperto oratore latino irride questo atteggiamento deresponsabilizzante dell’individuo pavido, che si affida ad un intervento superiore in termini di mero scambio (ad es. un sacrificio in cambio di una grazia). Quindi, volendo utilizzare il termine propriamente, dovremmo chiamare superstiziosi tutti coloro che si rivolgono al divino per fini utilitaristici, un atteggiamento molto più diffuso in ambito religioso che non fra gli astrologi.


Il nume celeste di per sé non ha affatto questo scopo propiziatorio, al contrario mira ad avvertire l’individuo sull’opportunità o meno di intraprendere certe azioni sotto l’influsso di una determinata configurazione astrale, la quale di per sé non è considerata causa di “buona o cattiva ventura” ma stabilisce piuttosto il corso previsto e nient’affatto predeterminato degli eventi.
Così, per i babilonesi shimtu, “il destino”, andava previsto, letteralmente “visto in anticipo”, perché solo conoscendo la volontà divina manifesta nel libro del cielo sarebbe stato possibile agire con cognizione di causa per volgere gli eventi a proprio vantaggio in virtù di leggi universali ai quali tutto il creato, dèi compresi, deve rispondere. Per questi antichi osservatori del cielo tutto era portatore di senso e costituiva un segno da interpretare, un’opportunità da cogliere per comprendere e compartecipare al corso degli eventi.

Andare per il mondo con gli occhi bene aperti e disposti a cogliere i nessi profondi, non necessariamente causali, tra cose, eventi e persone, è un prerequisito fondamentale per chiunque aspiri a diventare padrone della propria vita. In questo senso, anche l’oroscopo può fornire utili informazioni, purché sia eseguito con perizia e soprattutto interpretato in modo opportuno. Sapere infatti che avrò “Saturno contro” non è un buon motivo per sbuffare e lamentarsi, attribuendo al suo influsso rigoroso ogni difficoltà, ma potrebbe darmi un incentivo per riflettere su quali azioni meritino effettivamente i miei sforzi durante un periodo in cui potenzialmente niente mi sarà concesso con facilità, e così, da “auspicio sfavorevole”, quella consapevolezza può trasformarsi nel mio migliore alleato per liberarmi dal superfluo. Ciò vale per qualunque previsione che da iniziale fonte di preoccupazione siamo in grado di trasformare in un elemento di conoscenza, per rapportarci agli eventi in modo sempre più sensato e consapevole. 
Mariavittoria



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