lunedì 9 giugno 2014

Chi giudica chi?


Voi non giudicate
per non essere giudicati,
perché col giudizio con cui giudicate
sarete giudicati
e con la misura con la quale misurate
sarete misurati.
Gesù

Solitamente funziona così.
Qualcuno ci critica, magari aspramente e subito ci sentiamo giudicati, attaccati ingiustamente. Allora ci lamentiamo, spesso inconsciamente, o meglio automaticamente, recriminiamo, elencando una miriade di se e di ma volti ad accampare scuse e giustificazioni di ogni sorta a sostegno del nostro malcontento... Magari iniziamo anche un dialogo interiore approfondito, nel quale immaginiamo lo svolgimento del nostro personale regolamento di conti verbale, oppure ci sfoghiamo apertamente, manifestando senza remore tutta la nostra amarezza.
Capita spesso, lo vediamo o sperimentiamo quasi ogni giorno, ma è davvero inevitabile? Qualcuno ci attacca e ci giudica per puro capriccio? Siamo delle vittime sacrificali del caso che ha voluto incappassimo in soggetti particolarmente suscettibili o poco evoluti?



Facciamo un passo indietro, disidentificandoci dal nostro vissuto, e rendiamoci conto della realtà: quel commento o quella persona è giunta a noi per un motivo e in generale ogni situazione suscita in noi determinate reazioni per ragioni precise. Potremmo chiamare questa legge karma, ricordando che questa parola intende il processo di causa ed effetto in un ciclo temporale dilatato e non necessariamente consequenziale. Dunque, siamo come antenne che trasmetto un segnale nello spazio: qualsiasi risposta riceviamo deve tener conto del tempo di differita. Riceviamo sulla base di ciò che trasmettiamo, è la legge di risonanza a stabilire la frequenza della nostra esistenza, null’altro. Se siamo amore, manifesteremo amore e riceveremo amore, se la nostra frequenza dominante è di pace e tranquillità, riceveremo pace e tranquillità, se siamo critica e giudizio, non dobbiamo stupirci di ricevere critiche e giudizi. Tutto ciò è legge, il differenziale però ci induce a riflettere non sul se, bensì sul quando capteremo una risposta alle nostre emissioni. 
Ora, cerchiamo di essere onesti. Che cosa facciamo per la maggior parte del tempo, fomentati da un interpretazione disfunzionale del mondo nel quale siamo chiamati a sperimentare? Giudichiamo.
Squadriamo le persone dall’alto in basso, stabiliamo a colpo sicuro che cosa sia giusto e sbagliato, ci paragoniamo continuamente agli altri per sottolinearne le incongruenze, le atipicità, gli atteggiamenti che reputiamo inappropriati e, contemporaneamente, forniamo una serie completa di soluzioni, di correttivi, o di commenti, prevalentemente negativi, ai loro comportamenti. Il proliferare incontrollato di critiche avviene per lo più come un riflesso condizionato, uno schema che, avendo creato un solco nel nostro essere, si manifesta con particolare virulenza ed in modo inconsapevole. Il pettegolezzo ed il giudizio cronico sono vere e proprie malattie psichiche, alimentate e diffuse capillarmente dall'inconsapevolezza o dall'incuria di chi non presta attenzione alle proprie esternazioni futili o controproducenti, in termini di pensieri, parole ed azioni.


Il primo passo avanti è, naturalmente, portare alla luce questi nostri atteggiamenti, disseppellirli dall’oblio reattivo che li nutre. Predisponiamoci ad un’attenta analisi di noi stessi. E alla consapevolezza. Non cadiamo però nell’errore di giudicare a nostra volta noi stessi. Il che è, sicuramente, un errore comune. Anzi, la radice del problema. Il giudice interiore dentro di noi si erge ad inappellabile portavoce di un bisogno di categorizzare e definire. Il dominio della critica più dannoso è quello esercitato contro noi stessi, che “impera et divide” (cioè prima comanda e poi divide). Proviamo ad ascoltarci e a prendere debita nota di tutti i “Ma che stupidaggine ho detto”, “Non ce la posso fare”, “Che maldestro che sono stato” e così via. Sono tutte sentenze che proclamiamo contro noi stessi. Stiamo attenti, perché esse tolgono potere alle nostre potenzialità, ancorandoci ad una realtà soggettiva limitata ed autolimitante. 
La critica è un vortice insidioso che risucchia le energie e proietta vibrazioni verso il basso. Procede per esclusione, toglie le forze interiori e le imbriglia in un vago moto rancoroso nei confronti degli altri e di noi stessi. Occorre vigilare ed esercitare uno dei più potenti strumenti che abbiamo a disposizione: l’arte dell’accorgersi. Proviamo a chiederci in ogni momento chi giudica chi? Nuove porte sui territori della coscienza si apriranno davanti a noi.
Fabrizio









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