mercoledì 14 settembre 2016

Universi paralleli e terapia creativa

È ovvio che le cose non sono male di per sé,
ma il mondo non può darvi niente che abbia un valore durevole.
Può solo riflettere ciò che voi date a voi stessi.
Il mago non vuole avere di più,
vuole essere di più.
Frederick E. Dodson


Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione dei primi libri di Zeland e il Transurfing, o creazione della realtà, ormai è un insegnamento arcinoto, di cui si parla negli ambiti più disparati, dalla PNL alla Quarta Via, e sempre più apertamente nei seminari e nelle conferenze, tanto che, giusto per fare un esempio, uno degli ultimi post di Salvatore Brizzi, Il mondo è la mia psicologia, sembra un distillato introduttivo alla pratica del proiettore, la tecnica al cuore del Transurfing. D'altra parte, alcuni passaggi chiave dell'insegnamento di Zeland riguardano proprio la presenza e l'osservazione della realtà:

Una volta che il punto di vista (o in altre parole il punto di osservazione o di attenzione), si sposta dallo schermo esterno al centro dell'autocoscienza, iniziate a rendervi conto di cosa sta succedendo intorno a voi e di quello che sta succedendo con voi stessi... Ma non appena mi dimentico di me stesso e mi immergo nel film, finisco per identificarmi immediatamente con esso, per diventarne una parte integrante, per di più dipendente e non a sé stante. Del resto, anche quando vi immergete nelle vostre riflessioni (emozioni) e cessate di vedere quello che sta succedendo intorno a voi e quindi di vedere anche voi stessi, cadete in un simile stato di “fuori di sé”. Siete in voi solo quando vedete la realtà e vedete voi stessi. Quando siete veramente in grado di intendere e di volere, capite?
(Vadim Zeland, Il Proiettore, Macro 2016, trad. it. di Vera Giovanna Bani)

Indubbiamente, la creazione della realtà funziona, perché più che una tecnica è un fatto costitutivo del mondo in cui ci sembra di essere totalmente immersi, ma che in effetti contribuiamo incessantemente a plasmare. Tuttavia, l'idea di creazione evoca la costruzione di qualcosa che prima non esisteva, un concetto che certamente ha senso nell'espressione “creazione dell'essere umano” (una storia lunga, affascinante e ancora poco conosciuta) ma che può essere fuorviante in rapporto alla realtà perché quest'ultima non viene creata, bensì esiste già in potenza in quello che Zeland suggestivamente chiama “spazio delle varianti”. Dunque, sintonizzandosi sistematicamente sulla realtà prescelta non facciamo altro che manifestarla, esprimerla nella materia e quindi più propriamente dovremmo parlare di “realizzazione della realtà”, sia perché si tratta proprio di concretizzare qui ed ora qualcosa che è già presente altrove, trasformandolo nella nostra attualità, sia perché accorgersi di poter gestire la realtà è probabilmente una delle più grandi realizzazioni che si possano ottenere nel corso di una vita umana e il primo passo verso la vera libertà. Naturalmente, dalla teoria alla pratica della realizzazione della realtà c'è un abisso di conoscenza ed esperienza che nessuna idea astratta, per quanto esatta e brillante, potrà colmare. Attualmente, sono disponibili in italiano ben due validi manuali, scritti da maestri contemporanei di “creazione della realtà”, uno russo e uno americano, che idealmente abbracciano tutto l'Occidente.



Il Proiettore di Vadim Zeland, spiega nel dettaglio la pratica del Reality Transurfing, demistificandola fino a ridurla ad una questione di visualizzazione costante e sistematica, strutturata attraverso una precisa serie di esercizi pratici, accessibili a chiunque sia dotato di sufficiente motivazione e determinazione.



Anche Universi paralleli del Sé, da buon manuale pratico, contiene molti esercizi, suddivisi per argomento all'interno di un discorso scorrevole, preciso e ben articolato, che intrecciando teoria e aneddotica tratta dall'esperienza ultradecennale dell'autore, considera la maggior parte degli aspetti pratici da tenere necessariamente in considerazione durante lo scivolamento nel multiverso, in direzione della realtà prescelta.
Ora, ci troviamo a settembre, il mese dei nuovi inizi, e quindi a tutti è consigliabile di provare ad applicare la “creazione della realtà”, che facciamo comunque, inconsapevolmente, e i cui insegnamenti si trovano ovunque, anche in film dall'apparenza tutt'altro che metafisica, come quello che intendo analizzare a titolo di esempio di pratica e ostacoli alla realizzazione della realtà.



Angel, la vita, il romanzo è un film del 2007 diretto da F. Ozon, che si basa liberamente sulla vita di Marie Corelli, autrice dei primi del Novecento. L'atteggiamento iniziale di Angel, oltre ad essere assolutamente inaudito per l'epoca in cui viveva, è emblematico del genere di coraggio richiesto al transurfer che osa guardare ostinatamente oltre le apparenze e scegliersi il proprio destino. Angel infatti è certa di essere destinata a diventare ricca e famosa, e non si limita a sognare ad occhi aperti, ma si comporta come se vivesse già il suo sogno (noi diremmo che è spontaneamente sintonizzata con la realtà prescelta, secondo l'antico adagio “per diventare, agisci come se”) mentre tutti attorno a lei reagiscono con sdegno e indignazione alle sue pretese, lamentosi ma surrettiziamente contenti di sguazzare nella mediocrità in cui si ritrovano. La determinazione intrinseca di Angel è tale che ben presto arriva l'occasione giusta (la porta, direbbe Zeland) per mezzo di una persona abbastanza audace da notare il suo straordinario talento immaginativo, un editore, che nonostante la contrarietà generale, decide di pubblicare un suo romanzo e ben presto la trasforma nella scrittrice di maggior successo della sua epoca. Così Angel si ritrova ad essere il personaggio ricco e famoso che aveva sempre saputo di voler diventare. Fin qui la nostra eroina ha applicato spontaneamente tutte le regole dello specchio della realtà, ma giunta sulla cresta dell'onda della fortuna dimentica il segreto del vero successo: qualunque cosa accada, rimani fedele a chi sei veramente, non permettere a niente e a nessuno di cambiarti. In altre parole, è l'autenticità, l'essere veri e sinceri con se stessi, la forza che consente di rimanere nella corrente vitale fortunata e che orienta le vele per navigare spediti in ogni condizione esterna. Angel, naturalmente, lo ignora, anche se le viene fatto notare che il segreto del suo successo potrebbe essere proprio la sua capacità di comunicare con se stessa, e inizia a ingannarsi, cadendo sempre più vittima della mediocrità altrui, dalla quale inizialmente era riuscita a guardarsi con leggiadra noncuranza. Il dialogo con la madre in punto di morte (dal minuto 40 del film) segna il passaggio dal sogno alla messa in scena:



Fedele fino alla fine al suo ruolo di meschina tentatrice, voce di un mondo ristretto e limitante, che trae forza dal senso di indegnità e di inadeguatezza di chi lo popola, la madre velatamente rinfaccia ciò che Angel non ha ancora realizzato, una famiglia, e l'ingenua ragazza, che evidentemente era ancora attaccata alla speranza di ricevere un riconoscimento, almeno finale, dei suoi meriti, e non un rimprovero, comincia a cedere al ricatto emotivo, inaugurando una serie di scelte sempre più avventate e infelici: dal matrimonio con un pittore depresso, noto per riuscire a rovinare tutto ciò che vede, comprese le giovani donne che incontra, fino all'estraniarsi dal pubblico, specchio di se stessa, perdendo ogni senso di quel mondo migliore che prima sapeva descrivere e impersonare con genuino slancio vitale e che ora si trasforma in un patetico tentativo di evasione dalla realtà di cui lei non è più autrice ma vittima. Angel si riduce ad un fantasma, che ama follemente e senza speranza e rimane indifferente all'amore sincero, e infine perisce prima della beffa finale: alla sua scomparsa più nessuno si ricorda di lei, che era interessata “solo al bello di ogni cosa”, mentre le opere cupe e deprimenti del marito riscuotono un crescente successo. Se Angel fosse rimasta fedele alla propria vocazione solare e al suo sogno di splendere perpetuamente, senza cercare di farvi entrare a forza altri o di compiacere i morti, forse il suo successo sarebbe stato meno effimero e lei avrebbe conosciuto la felicità e la libertà senza condizioni del vero transurfer.



Angel emblematicamente rappresenta l'angelo che si lascia strappare le ali. Ovviamente, hanno anche detto che questo film in realtà parla di una frivola presuntuosa, vittima del proprio sentimentalismo, e ironicamente è proprio così, perché questa esaltazione del sentimento romantico di abnegazione tendente all'autodistruzione, occultamente divulgato da una società ipocrita e conservatrice, è esattamente ciò che più di ogni altra cosa irretisce le anime incarnate, donne in particolare, inducendole ad amare chi non vuole essere amato, a tentare di salvare chi si compiace di essersi perduto, o peggio, a sperare in un destino migliore anziché adoperarsi per forgiarselo.
Eccoci dunque alla grande domanda cui inevitabilmente la realizzazione della realtà mette di fronte:


Posto che i limiti esistono solo nella tua mente, quali imprese autosabotanti e miraggi altrui inseguirai pur di non concederti fino in fondo il privilegio di diventare chi sei veramente?


In definitiva, non è tanto importante che, scrivendo (creando) la storia della tua vita, qualcuno poi abbia voglia di leggerla, come vorrebbe una nota pubblicità che fa appello al senso dell'avventura e ad una discreta dose di esibizionismo innato in ciascuno di noi, ma che tu abbia davvero voglia di viverla. E questo non è il punto cruciale del Transurfing, è il punto cruciale dell'esistenza.

Mariavittoria