Quando ho cominciato ad
amarmi davvero, mi sono reso conto che
il mio pensiero può
rendermi miserabile e malato.
Ma quando ho chiamato a
raccolta le energie del mio cuore,
l'intelletto è
diventato un compagno importante.
Oggi a questa unione do
il nome di saggezza del cuore.
Charles Chaplin
Che cosa è veramente la
felicità e soprattutto come si realizza? Mi sembra un argomento sul
quale valga la pena soffermarsi e riflettere attentamente. Iniziamo
considerando il contenuto di un celebre documento storico di
importanza fondamentale per le sorti dell'Occidente moderno, nel
quale si legge testualmente:
Noi
riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti
gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di
certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la
Libertà e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi
diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro
giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una
qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha
diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato
su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al
popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.
Parole
illuminanti e più che condivisibili contenute nella Dichiarazione di
Indipendenza degli Stati Uniti d'America (1776), grazie alle quali
ancora oggi molti sanno, almeno per sentito dire, che nel Paese a
stelle e strisce la ricerca della felicità è un diritto sancito
dall'atto fondativo della nazione. Pochi però sono a conoscenza del
fatto che questa idea originale, filantropicamente rivoluzionaria, si
deve a un italiano.
Infatti,
Benjamin Franklin non era convinto della prima stesura del passo
sopra citato, che dietro proposta di John Locke dichiarava il diritto
dell’uomo alla “proprietà”, e si rivolse al confratello
partenopeo Gaetano Filangeri, il quale suggerì di sostituire quel
termine così circoscritto alla ricchezza terrena con la parola
“felicità”, che si prestava a interpretazioni di più ampie
vedute e probabilmente di minor potenziale sovversivo, almeno nel
breve periodo. Fu così che, grazie all’originalità napoletana e
al pragmatismo americano, la massoneria oltreoceano risolse di
trasformare quello che doveva essere una semplice dichiarazione di
diritti materiali in una rivendicazione dal sapore idealista e
decisamente avveniristico, in cui gli inalienabili diritti alla vita
e alla libertà andavano a braccetto con l’altrettanto
irrinunciabile diritto alla ricerca della felicità, senza
particolari limitazioni all’interpretazione di quest’ultimo
concetto innovativo.
In
seguito, ci pensò il capitalismo, e ancor più la pubblicità a
rinsaldare il valore dell’equazione tra ricchezza e felicità,
attraverso l’induzione delle masse al consumismo più sfrenato in
nome della ricerca e ostentazione di un benessere economico che
surrettiziamente veniva presentato come sinonimo di benessere
individuale e collettivo. Questo genere di condizionamento è
talmente radicato da continuare ad agire ancora oggi, pressoché
indisturbato, a livello globale, catapultando l’individuo in un
baratro esistenziale di cui la crisi mondiale non può che riflettere
i tratti più sinistri.
Sia
chiaro: il benessere economico (inteso come la capacità di
provvedere alle proprie esigenze materiali in modo adeguato e
ottimale) è una conquista importante, dal momento che il
soddisfacimento dei bisogni primari (nutrimento, riparo dalle
intemperie, vestiario, ecc...) è una necessità imprescindibile ai
fini di un’esistenza umana decente e dignitosa sulla Terra. Come
ogni risorsa materiale, anche il denaro è un mezzo, uno strumento, e
non la meta o l'obiettivo della propria realizzazione (su questo
argomento ti consiglio di leggere il post Il denaro nel percorso spirituale,
di Salvatore Brizzi).
Il
punto essenziale però, riguardo alla felicità e al suo rapporto con
la ricchezza, è un altro: una volta affrancati dalla mera
sopravvivenza, ci si ritrova ad avere un certo potere d’acquisto
che in genere determina l’appartenenza ad un gruppo o ceto sociale,
anche se ad un livello molto superficiale, altrimenti se denaro e
potere fossero veramente direttamente proporzionali gli uomini più
influenti al mondo sarebbero automaticamente e in modo esclusivo
quelli più ricchi, mentre non è sempre così, dal momento che ci
sono altri tipi di potere all’opera nel mondo, come quello delle
idee ad esempio di scienziati, ma anche di filosofi, artisti e
letterati, e quello dell’autorevolezza dei grandi leader
carismatici, che a fronte di risorse economiche piuttosto comuni
riescono comunque a determinare il corso della storia. Vero è che
come simile attrae il proprio simile, anche un tipo di potere tende
ad attrarne altri, ma è importante non confonderli in modo
arbitrario, altrimenti rischiamo di considerare il Dalai Lama e Papa
Francesco alla stregua di Trump e Putin, giusto per citare delle
celebrità la cui influenza nell’evoluzione umana, evidentemente
non può essere identica né di pari valore.
L’occidentale
medio tende a disperdere se non proprio a dissipare insensatamente il
proprio potere d’acquisto, ma dopo qualche anno o decennio o vita
di consumismo irresponsabile, in modo più o meno improvviso e
violento si rende conto che avere
di più
non significa necessariamente essere
più felici.
E la risposta alla sua implicita domanda è proprio in questa
osservazione (di per sé un’importante presa di coscienza): la
felicità non è qualcosa da avere, ma da provare (essere).
Sì,
ci sono esseri umani felici in ogni parte del mondo, nelle condizioni
materiali e ambientali più disparate: dalla giungla amazzonica ai
deserti africani, fino ai borghi europei e alle metropoli asiatiche.
O sei felice o non lo sei, e se lo sei lo senti e lo riconosci negli
altri, ma non dipende da quello che hai, però, in un certo senso è
strettamente legato a quello che fai, perché provi
felicità
nella misura in cui quello
che sei corrisponde a quello che fai.
La
felicità è una delle quattro emozioni positive (le altre sono
gioia, gratitudine e meraviglia) che nutrono l’anima e il corpo,
essa illumina gli occhi e canta nei cuori di chi sta realizzando il
proprio progetto di vita. Per questo è fondamentale agire, non tanto
“alla ricerca della felicità” quanto in corrispondenza di ciò
che ci rende felici, che non riguarda mai dei possedimenti materiali
(oggetti, proprietà…) ma nemmeno delle persone. Se osservi bene,
infatti, ti accorgi che quello che ti rende felice in realtà non è
qualcosa o una certa persona, ma come ti fa sentire, per questo
abbiamo bisogno delle persone che amiamo mentre, se per un
cortocircuito dei sentimenti avviene il contrario (e ci ritroviamo ad
amare le persone di cui abbiamo bisogno), la relazione diventa una
dipendenza o codipendenza che rischia presto o tardi di naufragare
tragicamente. Le persone che frequentiamo, e quello che facciamo,
quindi non ci rendono felici, ma finiscono con il restituirci
l’immagine del nostro grado di felicità. Questa, al giorno d’oggi
spesso non è una scoperta molto rassicurante, ma riveste
un’importanza vitale (a meno che, ovviamente, tu non preferisca una
bugia confortante a una verità risvegliante) perché ci restituisce
il potere della consapevolezza che alimenta il cambiamento.
Ed
eccoci al punto essenziale di questo discorso: imparare a distinguere
tra desideri e aspirazioni, laddove un desiderio è qualcosa che
manca soprattutto alla tua personalità, mentre l’aspirazione è
qualcosa che vuoi vivere (perché non hai ancora provato ad essere)
dal profondo dell’anima.
È
questo il segreto della felicità? Non proprio, discernere
accuratamente tra desiderio e aspirazione è il principio, in senso
letterale, della felicità, il segreto sta nello scoprire le
aspirazioni autentiche della nostra anima, attivarci per realizzarle
e lasciare che i desideri della personalità si avverino da soli.
Pare che Gesù Cristo lo spiegasse esortando a cercare prima di ogni
altra cosa “il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre
cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6, 33)
A
questo punto diventa chiaro il significato metafisico di tutti gli
esercizi per realizzare i desideri: non è tanto per ottenere
qualcosa che se ci appartiene si realizzerà comunque, ma per
conoscere meglio le nostre aspirazioni.
Infatti,
realizzando un desiderio non sarai più felice di quanto sei ora, non
a lungo, e poco dopo ti accorgerai di desiderare qualcos’altro
perché per la personalità è del tutto naturale tendere a volere e
avere di più (accumulare); se invece vivi in conformità alle tue
aspirazioni, la felicità fluisce dentro e fuori di te senza limiti
fisici.
Fai
un elenco sincero dei tuoi desideri e chiediti:
- Perché voglio che questo desiderio si realizzi?
- Che cosa mi manca veramente?
- Che cosa penso che cambierà quando avrò ottenuto quello che mi manca?
- Come mi sentirò esattamente?
- Che cosa posso fare per sentirmi in quel modo già adesso?
Probabilmente
la risposta più rivelatrice sarà quella all’ultima di queste
domande, perché immancabilmente almeno metà di quello che vuoi
sentire puoi provarlo anche subito: la tua vita non è così diversa
da quella che pensi di voler vivere, almeno non nelle cose che
dipendono veramente da te, e tutto sommato esse sono una parte
considerevole dell’esistenza, per cui hai non solo il diritto di
cercare la felicità, ma soprattutto il dovere di sceglierla, giorno
dopo giorno, e questo è un segreto che nel Nuovo Millennio apre
porte senza precedenti.
Mariavittoria
IL
SEGRETO DEL CUORE
“Lo
spazio interiore è quel luogo dentro di te destinato ad accogliere
ciò che desideri. Ogni volta che ti permetti di sentirlo, attivi il
tuo magnete facendogli attrarre con maggiore intensità l’oggetto
dei tuoi desideri.”