lunedì 14 luglio 2014

Mondi a contatto

Ciò che vediamo
non è ciò che vediamo
ma ciò che siamo.
Fernando Pessoa


Le interconnessioni fra il mondo interiore ed il mondo della materia sono così intrecciate da essere quasi inestricabili. Possiamo visualizzare i due mondi uniti da un canale attraverso il quale essi comunicano. All'interno di questo canale c’è un punto in cui lo spirito cessa di essere tale e si trasforma in materia. Questo punto in cui lo spirito sfiora la materia è la pietra filosofale che tutti cercano, è lo spazio sacro della creazione.
Il canale è percorribile in entrambi i sensi.  
Dal mondo fisico è possibile percorrere il canale per spostarci al di là del velo e raggiungere un luogo nel quale contattare le nostre guide ed i nostri Maestri ed accorgerci di quanto il piccolo io che pensavamo di essere sia, in realtà, infinitamente più ampio. In questa dimensione si possono e si devono fare domande che riguardano il mondo della materia. La nostra missione consiste nel portare indietro la saggezza che acquisiamo in questi “viaggi” per potercene avvalere nella densità della dimensione nella quale viviamo.
Occorre dunque intraprendere frequenti “viaggi”: non è auspicabile vivere solo nel mondo fisico trascurando i mondi sottili; specularmente non è sensato rifugiarsi nella dimensione spirituale rimanendo avulsi dalla materia in cui ci si ritrova comunque incarnati. Nello scambio, nel movimento, nello spostamento delle prospettive, nella correlazione fra i due mondi, consiste l’opportunità che sta a noi cogliere.




Un modo pratico per utilizzare il canale tra visibile e invisibile è quello di servirsi di un’attività fisica per lavorare anche sul piano spirituale. In precedenza abbiamo già introdotto alcuni esempi di connessione tra Mondo interiore e mondo esterno, e continueremo a fornire Spunti di meditazione tradizionali e alternativi, perché la pratica è esperienza, e l'esperienza è conoscenza, anche spirituale. Oggi consideriamo i benefici dell'adottare uno stato meditativo durante lo svolgimento di un'attività molto diffusa e amata: il giardinaggio. 
Chiunque abbia a disposizione un giardino, un orto o anche solo delle piante in vaso da coltivare, potrà provare subito a fare esperienza di questo semplice esercizio di presenza e connessione, ovvero di un altro modo per inserire la meditazione nella propria quotidianità.
Il fastidioso e tedioso compito di pulire il giardino o i vasi dalle erbacce, può trasformarsi in un produttivo lavoro interiore. Invece di sprecare energia a lottare contro i rovi o le erbe più tenaci, concentriamoci su questo pensiero: 

“In questo momento, io sto mondando il terreno interiore da tutti i pensieri infestanti, da tutti gli schemi dannosi che si sono radicati dentro di me, da tutte le abitudini nocive che hanno trovato terreno fertile nel mio essere, da tutta la negatività che si è innestata nelle mie cellule”.

Anche l’atteggiamento interiore è molto importante: non serve accanirsi con furia sulle malcapitate piante infestanti sradicandole con violenza dal terreno; occorre piuttosto concentrarsi sulla sensazione di liberazione che il gesto armonioso e amorevole di mondare la terra produce al nostro interno.




Il contatto con l’elemento Terra radica ed espande le nostre sensazioni e può essere saggiamente utilizzato per amplificare il risultato e per porci sulla giusta lunghezza d’onda per ottenere frutti, sia concreti che metafisici, più succosi e belli.
Come in alto così in basso, come fuori, così dentro.
Come per qualsiasi lavoro di pulizia, una volta sgombrato il terreno da tutte le piante indesiderate, il nostro compito non è terminato. Occorre mantenere il terreno nelle migliori condizioni, nutrendolo e curandolo con pazienza ed amore affinché non proliferino nuovamente erbacce e gramigna. Un lavoro costante e consapevole è lo strumento principale per mantenere la connessione fra mondo fisico e spirituale sempre aperta e priva di interferenze e per cogliere le ricchezze che i due mondi, costantemente, ci forniscono.
Fabrizio








lunedì 7 luglio 2014

Il rigore e la grazia

La grazia è bellezza in movimento.
Gotthold Ephraim Lessing


La Cabbalà, nella sua infinita saggezza, offre numerosi spunti di riflessione.
Prendiamo in considerazione l’Albero della Vita, diviso simbolicamente in tre distinti pilastri: Jachin, il pilastro destro della grazia e della misericordia, Boaz, il pilastro sinistro del rigore e della giustizia, e il pilastro centrale dell’equilibrio e dell’armonia. Chi entra maggiormente in risonanza con il pilastro sinistro, tenderà ad avere una visione più rigorosa dell’esistenza, legata ad una corrispondenza diretta fra sforzi e risultati, in un’eterna ghirlanda di cause ed effetti che manifestano delle conseguenze secondo il criterio simboleggiato dalla personificazione della giustizia, una figura femminile coronata che impugna la spada in una mano e regge una bilancia nell’altra, come si evince dall’iconografia più diffusa dell’ottavo Arcano dei Tarocchi.


Chi invece sente maggiore affinità con il pilastro della grazia, tenderà ad accordarsi all’etica della fede, consapevole che l’universo provvederà benevolmente ad ogni suo bisogno. A prima vista, queste due prospettive sembrano inconciliabili; in realtà, quando desideriamo che nella nostra vita avvenga un miglioramento, dobbiamo non solo muoverci attivamente affinché non rimanga nulla di intentato che possa favorire la manifestazione, come è noto a quanti utilizzano la volontà e il rigore come strumenti primari di crescita, ma anche sviluppare la predisposizione necessaria a ricevere, aprendosi alla capacità di attendere con fiducia e fede di assaporare gli imperscrutabili frutti della provvidenza. Naturalmente, si tratta di un processo di integrazione semplice ma tutt’altro che facile e spesso, lungo il percorso, può accadere di diventare i peggiori nemici di se stessi, specialmente quando correnti subconsce, a noi per lo più ignote ma dotate di una forza attrattiva straordinaria, si nutrono degli schemi consolidati dalla nostra personalità e inaspettatamente lavorano contro di noi. Supponiamo ad esempio che io desideri ardentemente ottenere una promozione sul lavoro. A tal fine, mi ispirerò con diligenza al pilastro del rigore, mantenendo alacremente un costante atteggiamento proattivo e professionale. Farò quindi il mio dovere e anche di più. I primi problemi sorgeranno quando verrà il momento di affidarsi al pilastro della grazia, cioé proprio in concomitanza al momento della promozione: inizierò a pensare che non ricevo nessun riconoscimento da ben sette anni, mentre tutti i miei colleghi hanno già ottenuto qualcosa. Così, tra una lamentela e un giudizio, comincerò ad affezionarmi all’idea precostituita di essere una persona di valore costretta a subire una grande ingiustizia. Mi baloccherò con l’immagine di me alla quale ero abituato riferirmi e senza neanche rendermene conto darò ad essa la mia energia, rafforzando questo schema a discapito del mio desiderio originale. A questo punto, dovrei chiedermi se voglia veramente la promozione o preferisca continuare il mio compiaciuto teatrino personale di autovittimismo e frustrazione programmata. Pensate, infatti, che prevalga il pensiero migliorativo concepito razionalmente (ottenere una promozione) o il movimento sotterraneo di resistenza al cambiamento che il nostro inconscio ci comunica, facendo sorgere ogni sorta di dubbi e recriminazioni?


Questo semplice esempio ci fa comprendere che occorre valutare a fondo la sincerita di ciò che desideriamo per noi stessi ed essere altrettanto abili ad accorgerci se si innestano in noi schemi che anziché promuovere la nostra crescita ci danneggiano. Come fare quindi, per evitare di voler costruire una tela che gran parte di noi stessi tenderà a disconoscere, lavorando nell’ombra per disfarla? 
Imparare a bilanciare le modalità con le quali agiamo, orientandoci verso i principi del pilastro dell’equilibrio, è un modo molto pratico per trasformare la nostra vita senza incorrere negli inconvenienti dell’autosabotaggio. In questo processo di riequilibrio, ciascuno è chiamato a sviluppare ciò in cui è ancora deficitario. Pertanto, le indicazioni più utili lungo il percorso non sono tanto i nostri punti di forza, quanto le nostre lacune, che ci mostrano la strada da seguire. Sono loro le nostre lanterne più luminose sulla via delle potenzialità.