lunedì 29 luglio 2013

La spiritualità non è un hobby


Vivere la vita spirituale è la preoccupazione di ogni istante
                                                                          Omraam Mikhaël Aïvanhov


Non è un corso con cadenza settimanale.
Non è un’ora domenicale con la quale acquietare la coscienza.
Non è un interludio fra due frenetiche attività.
Non è una conferenza a cui si affidano tutte le speranze di crescita interiore.
Non è rincorrere forsennatamente la verità sui libri.
Non è un passatempo col quale tentare di riempire i propri vuoti.
Non è una scommessa, come soleva supporre Pascal, dall’esito probabilmente favorevole.
La spiritualità non è un hobby a cui appassionarsi, da rinchiudere in un angolo temporale della propria vita, da relegare in un angusto frammento di spazio, ben separato, come una camera stagna, dal resto della nostra esistenza.

La spiritualità necessita della formula all inclusive, ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette, trecentosessantacinque giorni l’anno.
Vi pare troppo?
Eppure non basta concentrarsi per qualche attimo tentando teoricamente di migliorarsi o di crescere spiritualmente. In questo modo, terminata la sessione, ci si alza, si ritorna a dovere fare i conti con la cosiddetta "vita reale", dove la pratica cancella quasi istantaneamente i buoni propositi, fino a farci sopire ed addormentare a noi stessi.

La spiritualità necessita di un paziente lavoro di travaso di tutte le nostre conoscenze teoriche nell’ambito pratico della vita che viviamo, nella nostra carne, nella densità della materia di cui il nostro corpo fisico è composto, densità che costantemente attraversiamo.
Per ottenere questo, occorre prima di tutto prendere atto dello stato di incoscienza nel quale quotidianamente ci muoviamo al fine di ritornare a noi stessi. In questo mondo dobbiamo muoverci consapevoli dei nostri pensieri, delle nostre parole, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Un compito difficile, un lavoro certosino, una sfida stimolante a cui possiamo accostarci fiduciosi, tenendo presente che abbiamo dalla nostra alcuni assi nella manica. L’arte dell’accorgersi, per esempio, è fondamentale per verificare come la nostra mente fluttui via seguendo strade tortuose, inseguendo chimere, producendosi in flessuosi e fantasmagorici voli pindarici. Una volta superata questa prima fase, a volte piuttosto frustrante ma indispensabile, la capacità di accorgerci di noi stessi ci potrà condurre verso il risveglio, verso una nuova dimensione in cui  muoversi e agire in modo perfettamente cosapevole.

Un hobby però, come qualsiasi attività, atto o azione nella nostra esistenza, può diventare spiritualità. Una partita di tennis ad esempio. Proprio un momento prima di battere la pallina, mentre i pensieri si affollano dentro la nostra mente, mentre la convinzione di avere già il game in pugno si fa strada, mentre l’immagine del punteggio si sta già formando e si sta delineando la nuova strategia da adottare, possiamo fare su di noi un lavoro utile. Cerchiamo di affrancarci dalle aspettative che bussano con insistente petulanza alle porte del nostro cervello. Un punto è un punto, una pallina è una pallina. Nulla della sovrastruttura che stiamo elaborando mentalmente esiste mentre la racchetta si abbatte sulla pallina. Rimaniamo nel presente: nel rumore secco delle corde che si deformano, nella rotazione che imprimiamo alla pallina, nella velocità, nella forza, nella precisione che possiamo trasmettere al colpo. E nella gioia dell'essere e di esserci.
Presenza, consapevolezza totale nell'adesso.
Stiamo vivendo, stiamo crescendo, stiamo imparando.
Non ci è richiesto nulla di più.
Fabrizio


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COMPRENDI LA VISIONE OLISTICA

"Cercare di realizzare l'unità nella coscienza interiore e nella conoscenza del mondo dovrebbe essere il principale scopo della nuova cultura internazionale."





lunedì 22 luglio 2013

Sagge divinazioni


Se dobbiamo ascoltare la parola dei saggi, è per ritrovare ciò che sappiamo già.
Sì, i saggi ci parlano unicamente di quello che già sappiamo,
ma che ancora sonnecchia nel nostro subconscio.
Omraam Mikhaël Aïvanhov

Per tutta la vita Joyce Collin-Smith si è interrogata sulle sfaccettature oscure e luminose del rapporto tra allievo e maestro, divulgando, specialmente nel suo libro Nessun uomo è un Maestro, ciò che ha scoperto attraverso l’esperienza personale della ricerca di risposte personali alle domande universali che riguardano l’essere umano. Nel post precedente, dedicato alle Domande senza risposta abbiamo riflettuto sulle sue affermazioni riguardo alla necessità di trovare la propria domanda come chiave di accesso alla risposta unica racchiusa in noi, oggi consideriamo come l’autrice prosegue lo stesso contributo (potete leggere la versione in lingua originale sul sito dell’autrice) riguardo all’arte divinatoria e all’astrologia di cui era un’esperta:

«Sembra ragionevole pensare che l’oroscopo possa venire utilizzato legittimamente in modi come questo: le domande che si fanno al proprio sé nella profonda attenzione all’infinità di possibilità del tema astrologico si ridimensionano nella loro profondità e semplicità, fino a che l’essenza di queste possibilità viene distillata in una goccia di pura verità, ed è da quella pura essenza che la propria interpretazione del tema inizia a costruirsi e ad avere un senso e una sua realtà. Ma la purezza dell’intenzione sembra essenziale per questo compito. L’ambizione personale, la vanità e l’autoesaltazione non possono avere alcuna parte in esso. Il
proprio oroscopo è lo specchio o cristallo di se stessi. Quello di altri è prezioso come un gioiello e richiede di essere meditato con delicatezza e perfino riverenza se abbiamo intenzione di essere degni della nostra vocazione di astrologi. Solo in questo modo l’oroscopo dispenserà le sue vere ricchezze a chi lo interroga: non deve essere usato come metodo a buon mercato per predire la fortuna, bensì come oggetto di divinazione nel vero senso della parola, vale a dire per cercare la conoscenza che emana dal Divino. […]Sulla porta del Tempio dell’Oracolo di Delphi era scritto: “nessun uomo entri in questo luogo a meno che le sue mani siano pure”. Ogni chiaroveggente, consulente astrologico o “lettore” dovrebbe tenere come perpetuo promemoria queste parole davanti a sé sul tavolo al quale lavora!»»
(FONTE: Joyce Collin-Smith, Are there any questions?, The Astrological Journal, Summer 1980)

La lettura delle carte, specialmente dei Tarocchi, l’astrologia e le arti divinatorie in generale sono materie delicate e altamente introspettive il cui valore intrinseco, la risposta a domande tanto ancestrali quanto onnipresenti, può sprigionarsi solo grazie ad una particolare sensibilità e alla consapevolezza affinate con umiltà nell’esperienza di chi si pone come interprete di questi strumenti sottili per vocazione e per necessità, ma senza secondi fini.
 Mariavittoria 


IMPARA A LEGGERE I MESSAGGI DELLE STELLE

"Il Sole, che rappresenta la parte attiva e la capacità di individuare i propri obiettivi nella vita; la Luna, che simboleggia la parte emotiva e la capacità di esprimere i propri sentimenti; l'Ascendente, che identifica l'immagine pubblica, il modo di rapportarsi al mondo. Questi tre elementi rappresentano la nostra 'carta d'identità' zodiacale, la base della personalità. A essi ho aggiunto Giove, che rappresenta il coach interiore."





 

lunedì 15 luglio 2013

Domande senza risposta


Se non ci sono domande,
non ci saranno risposte.
(Antico detto popolare)

Quanto è importante fare le domande “giuste”? Esistono domande migliori di altre? Per approfondire questo tema centrale nell’ambito della ricerca interiore riflettiamo su quanto afferma Joyce Collin-Smith, autrice di Nessun uomo è un Maestro, nel seguente contributo (potete leggere la versione in lingua originale sul sito dell’autrice), che si intitola appunto Ci sono domande?:

«Nel ciclo arturiano vi è una leggenda, Sir Gawain e il Cavaliere Verde, che parla della Domanda Inespressa. Per ben due volte a questo cavaliere della tavola rotonda fu permesso di vedere il Santo Graal e in entrambe mancò di cogliere l’opportunità per porre una domanda su di esso. Le vergini allontanarono il Graal da lui. Sir Percival, il cavaliere puro, e Sir Galahad, giovane e innocente, furono i soli a “raggiungere il Graal”. Sir Gawain se ne disinteressò, ripartendo per le sue avventure. 
Quale era la domanda che avrebbe dovuto porre? Il mistero in questa leggenda sta proprio nel fatto che ciò non viene detto. Riflettendo su questo punto, gli amanti dei racconti di Re Artù e delle leggende del Sangraal potrebbero concludere che si tratti della domanda fulcro di tutte le domande sulla natura della vita e la ricerca di Dio. Ciascuno deve darle voce a modo proprio. Quando un uomo sa qual è la propria domanda ha fatto un grande passo avanti sul percorso della conoscenza di sé.
Molti maestri orientali utilizzano un metodo di istruzione basato su domande e risposte verbali. Insistendo affinché formuli le proprie domande, il maestro forza l’allievo ad assumere un ruolo attivo invece di quello passivo dello studente che si limita ad ascoltare la lezione. Lo sforzo mentale di formulare la giusta domanda può essere formidabile. Alla base di questo metodo di insegnamento vi è un curioso paradosso: se lo studente riversa fiumi infiniti di domande superficiali così come gli vengono in mente non imparerà niente dalle risposte e lo stesso vale se il suo livello di attenzione è così basso da non fargli chiedere niente. Al contrario, se si sforzerà di formulare e riformulare le domande più profonde del suo cuore e della sua mente fino a giungere ad un solo interrogativo fondamentale, urgente e semplice, troverà la propria risposta. La risposta è intrinseca nella domanda.
Nel suo Paesi etruschi, D.H. Lawrence scrisse: “un atto di pura attenzione, se ne sei capace, porterà con sé la propria risposta”. In questa idea si trova tutto il segreto del fare domande, sia che si tratti del domandare ad un sant’uomo la cui conoscenza è molto superiore alla nostra o a qualsiasi persona le cui parole siano degne di essere ascoltate. Perfino Gesù bambino fu trovato al Tempio presso gli Anziani: “li ascoltava e poneva loro delle domande”. Tutti abbiamo bisogno di fare domande. Ma la domanda definitiva è quella che bisogna porre a se stessi in tutte le fasi di progresso attraverso la vita, in modo che il proprio obiettivo sia sempre il più alto e il proprio cuore rimanga puro d’intenzioni. Per portare la coscienza in questo stato di purezza di intenti può essere prezioso utilizzare un oggetto su cui fissare l’attenzione, sia esso una croce, un’icona, un cristallo, un mantra, un simbolo o la ripetizione di un Nome, lo scopo ultimo è portare l’essere umano in quello stato di attenzione nel quale domanda e risposta si fondono nell’assoluta conoscenza e comprensione.»
(FONTE: Joyce Collin-Smith, Are there any questions?, The Astrological Journal, Summer 1980)

Come i semi nel frutto, ciascuna domanda racchiude in se stessa la propria risposta; una domanda matura fruttificherà al momento opportuno, mentre senza risposta continueranno ad essere le domande mai poste, che ancora immanifeste non possono trovare nella nostra coscienza un terreno su cui attecchire. Ecco svelato il mistero della Domanda Inespressa: non esiste, come non esiste risposta senza domanda.
 Mariavittoria



L'ARTE DI CHIEDERE


"Imparerete ad essere gli artefici della vostra esperienza grazie a una serie di processi che vi aiuteranno a ritrovare il legame con la parte 'Non-Fisica' di voi stessi, processi che contribuiranno a farvi ottenere tutto ciò che desiderate."
















 

lunedì 8 luglio 2013

Sintonizzare la radio interiore: la Mente del Risveglio


Questo cronico vizio di preoccuparci di noi stessi
è la causa che produce la nostra indesiderata sofferenza.
Comprendendo questo, chiediamo le vostre benedizioni per biasimare,
opporre e distruggere il mostruoso demone dell'egoismo
dalla Guru Puja (antica cerimonia buddhista)


Nell' articolo precedente abbiamo parlato dell’ importanza personale, di come siamo abituati a percepire ogni fenomeno in relazione alla nostra idea di IO e MIO, e di come questo IO venga posto al centro del nostro universo soggettivo.
Vediamo ora come possiamo dare un altro duro colpo alla nostra visione egocentrica del mondo.

A seguito di una riflessione approfondita sulla Corretta Visione basandoci soprattutto sulla nostra esperienza personale, si può comprendere come il mondo sia una nostra rappresentazione, possiamo così facilmente renderci conto che qualsiasi “inferno” è un inferno personale, auto-costruito.
Il passo successivo, quasi spontaneo, è quello di realizzare che se questo vale per ciascuno di noi deve valere anche per gli altri. Se io non sono libero non lo sono neanche gli altri. Se proietto sul mondo una realtà distorta la stessa cosa staranno facendo gli altri.

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Spesso ci capita di scontrarci con le altre persone per vari motivi , di litigare, di ferirsi a volte fino al punto da non volersi più vedere. Ci capita di provare rabbia per un torto che pensiamo qualcuno ci abbia fatto e spesso teniamo dentro questa rabbia per ore, giorni o addirittura anni. La nostra reazione però non è altro che il risultato di un vivere automatico senza capire quello che in realtà sta succedendo.
Se noi viviamo in una illusione del mondo generata da noi stessi, lo stesso succede agli altri: nessuno vive le situazioni in modo neutro, di conseguenza tutte le reazioni sono il risultato di una determinata idea di se stessi e del mondo, che si è costruita negli anni con le esperienze di vita.
Ognuno vive inconsapevole nel proprio “inferno”.

Chi brandisce il bastone?
Guardando noi stessi e imparando a riconoscere il nostro modo automatico di reagire potremo facilmente comprendere che in realtà non è l’altra persona a farci del male. I veri colpevoli sono i “difetti mentali”, virus radicati nella nostra mente e nella mente degli altri che ci inducono a reagire automaticamente e che fanno in modo che qualcuno possa ferirci.
Partendo dal livello più semplice di analisi, per esempio, potremmo prendere in considerazione questa domanda: se una persona ci da una bastonata con chi ha senso arrabbiarsi? Con il bastone o con colui che lo brandisce? La risposta è ovvia. Allo stesso modo le persone sono come un mezzo attraverso il quale si espleta una funzione automatica derivata da un “difetto mentale”. Non c'è un vero io che agisce scegliendo di danneggiarci. Se veramente fossimo in grado di scegliere, non opteremmo mai per emozioni come la rabbia, la paura, l’attaccamento, l’invidia, la gelosia, perché sappiamo benissimo che esse non ci fanno bene. Infatti, possiamo facilmente provare fastidio nel nostro corpo anche solo nominandole. Scegliere consciamente queste emozioni distruttive sarebbe come auto-sabotarsi, come scegliere di ammalarsi.
Questo tipo di considerazioni ci portano a realizzare che non ha nessun senso prendersela con gli altri per quello che ci fanno o ci dicono, in quanto nel normale stato di coscienza non c'è nessuno che abbia scelto effettivamente di ferirci. Se proprio vogliamo scagliarci contro un colpevole, dovremmo “dichiarare guerra” al virus che ha fatto in modo che quella determinata persona ci attaccasse, e l’unico modo che abbiamo per fare una cosa del genere è scovare e disarmare l’istanza del difetto mentale che si trova dentro di noi.

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Inoltre è evidente il fatto che, esattamente come noi, tutti gli esseri anelano alla felicità e non desiderano la benché minima sofferenza. Essi continuano a fare e a farsi del male solo a causa dell’inconsapevolezza, senza mai veramente porsi la questione di cosa li danneggi veramente e cosa invece porterebbe loro un effettivo beneficio. Tutti pensiamo di fare il nostro interesse, senza accorgerci che sono le nostre stesse interpretazioni e reazioni automatiche a creare sofferenza nella nostra vita e in quella delle persone che abbiamo intorno.
Nella pratica gli esseri umani vivono incastrati in un circolo vizioso di azione e reazione dominato dall’inconsapevolezza, è questo il seme di quello che viene chiamato karma (“azione”). Sono come naufraghi legati stretti dalle “spesse catene del karma” e sbattuti violentemente dalle onde dei “difetti mentali”.

Non c'è nessuno né lì né qui
Analizzando noi stessi e le persone che ci stanno intorno, potremo facilmente renderci conto che questo spettro che chiamiamo IO non è altro che un fascio di pensieri, emozioni e ricordi a cui noi stessi diamo consistenza per “sentirci qualcuno”.
Questo è il momento giusto per approfondire ulteriormente l'argomento senza complicare troppo le cose, in quanto ognuno potrà comprendere i vari risvolti di queste riflessioni attraverso la propria pratica e la meditazione. Aggiungo soltanto che nel caso di un torto è bene ricordarsi che non solo l’altra persona non sta scegliendo di ferirci, in quanto non c'è un vero IO a decidere, ma che anche “qui”, dentro di noi, potrebbe non esserci nessuno a ricevere la sua rabbia. Questa diventerà una nostra scelta dal momento in cui avremo compreso le implicazioni più profonde della Corretta Visione di noi stessi. Prima però è opportuno riflettere ponendoci la seguente domanda: per quanto una persona mi possa assalire con tutta la rabbia possibile, dove potrebbe trovare appiglio questa rabbia, dove potrebbe colpire e ferire se in me non esiste un ego, un IO pronto ad offendersi e reagire “occhio per occhio”?

Il sorgere della Mente del Risveglio
Queste riflessioni sono alla base del dissolversi dell’importanza personale, dell’egoismo e del preoccuparsi in continuazione dell’IO e MIO e permettono alla Mente del Risveglio (Bodhicitta) di germogliare in noi.

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Il comprendere che tutti siamo nella stessa situazione all'interno di una prigione psichica stimola una forte volontà di servire. La Corretta Visione, inoltre, porta a percepire la mancanza di una vera separazione dal mondo, si inizia così a percepire un universo unitario in cui ogni cosa partecipa alla corrente della vita. Diventa sempre più difficile considerarsi divisi dal Tutto e ci si occupa maggiormente delle relazioni e della salvaguardia di ogni forma di vita. Si è sempre più rapiti dal “miracolo” e sempre meno dalle elucubrazioni della mente, sorgono spontaneamente emozioni superiori come l'Amore, la Gioia, la Pace, la Gratitudine, la Generosità. Nasce il desiderio di essere utili e mettere le proprie realizzazioni al servizio degli altri, in modo da poterne alleviare la confusione, le sofferenze e facilitare il loro cammino.
Descritta nella forma più completa la Mente del Risveglio è il desiderio di raggiungere l’Illuminazione, il Risveglio, per poter essere di beneficio a tutti gli esseri.
Infatti, chi può offrire l’aiuto migliore per evadere dalla prigione se non colui che lo ha già fatto a sua volta e ora si trova al di là delle sbarre?

Stefano


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ESCI DALLA PRIGIONE DELLA TUA MENTE

"Voi conoscete due sole modalità: o siete in collera, diventate violenti, distruttivi, oppure vi reprimete. Non conoscete la terza modalità, quella dei buddha: non esplodere e non reprimere… osserva. L’esprimere crea un’abitudine. Se ti arrabbi oggi, e poi di nuovo domani, e ancora dopodomani, crei un’abitudine; ti stai condizionando ad arrabbiarti sempre di più."




lunedì 1 luglio 2013

Sintonizzare la radio interiore: la Corretta Visione



La mente e il mondo sorgono insieme.
Ciò che viene generato non è “il mondo”, ma “un mondo”
dipendente dalla struttura dell'organismo.
Francisco Varela


Importanza personale: l’idea di IO e MIO

Nel post Meditazione, un addestramento alla libertà abbiamo visto che la meditazione può essere utile per familiarizzare con i moti dell'anima che possono portarci a vedere il mondo in modo più positivo: è proprio come sintonizzare una radio su una frequenza differente rispetto a quella che siamo soliti sorbirci ogni giorno.

Perle nel tempo progetto vajra radio interiore
In condizioni normali la nostra radio è abituata da sempre a mandare in onda il giudizio verso ogni fenomeno o persona che non ci piace e la lamentela continua per ogni minima cosa che ci sembra non andare nel verso giusto nella nostra vita. È una radio sintonizzata sul nostro ego, o meglio come dice Castaneda «sull’importanza personale», un’abitudine che ci porta a mettere noi stessi al centro dell'universo e a relazionarci con ogni fenomeno esterno in base alla nostra idea di IO e di MIO. Di conseguenza, proveremo attrazione per tutto ciò che consideriamo parte della dimensione IO-MIO e verso tutto ciò che fa bene ad essa, mentre proveremo avversione nei confronti di tutto ciò che secondo la nostra interpretazione fa male a questa entità immaginaria che è appunto l'IO-MIO.
Il risultato è che più la dimensione di ciò che consideriamo far parte dell’IO-MIO si allarga, più abbiamo bisogno di controllare, di proteggere di conservare, di allontanare. Ovviamente a seguito di questo atteggiamento duale (yin-yang) avremo più paura di perdere, di essere offesi, di soffrire. In poche parole più gonfiamo la nostra importanza personale più soffriamo, anche se forse nella nostra vita siamo stati abituati a pensare il contrario da una società che ci spinge a possedere di più e a dare molta importanza a quello che il mondo pensa di noi.
In questo e nel prossimo articolo voglio provare a introdurre due concetti, con i quali ci troveremo più volte ad avere a che fare, che possono portare la nostra radio a cambiare frequenza e a indebolire le catene e i vincoli dell'importanza personale.


Corretta Visione e Mente del Risveglio
I due concetti che desidero introdurre sono la Corretta Visione e la Mente del Risveglio, due pilastri da considerare insieme, poiché uno da forza e senso all'altro. Essi si ritrovano in moltissime tradizioni con nomi diversi:
la Corretta Visione viene chiamata anche Vacuità, Shunyata, Saggezza, Volontà;
la Mente del Risveglio è ciò che si ritrova anche come Bodhicitta, Metodo, Amore, Compassione, Metta, Apertura del Cuore.
In alcune tradizioni il nome rappresenta il risultato che vogliamo ottenere, mentre in altre viene evidenziato maggiormente il percorso per ottenerlo.

Come potete immaginare, si tratta di argomenti molto complessi da spiegare. Potremmo partire dall'aspetto filosofico oppure da tutte le pratiche che si possono compiere per giungere ad assaggiarne il senso.
Oggi inizierò con il darne una definizione il più semplice e comprensibile possibile, ognuno di noi potrà accorgersi che questi concetti possono adattarsi a molti livelli di comprensione, dai più grossolani, applicabili mentre siamo sui mezzi pubblici o mentre guidiamo, ai più sottili che possono accompagnarci nelle “zone rarefatte del pensiero”.

Iniziamo col prendere in considerazione la Corretta Visione partendo dal suo opposto:
la castanediana «importanza personale» nasce da un concetto che nel buddismo è chiamato erronea visione di se stessi. Questo significa che abbiamo la tendenza a credere in un IO che esiste di per sé, che non è dipendente da null’altro. L'IO è lì, è un fatto, è così e basta. Raramente ci chiediamo cosa sia questo IO, se per caso non sia solo un concetto e cosa rappresenti per noi, cosa sia invece “non io” e per quale motivo. Raramente ci chiediamo “Chi sono io?”, domanda che Ramana Maharshi consiglia come unica meditazione.


Un mondo di etichette
In pratica pensiamo che l'idea che ci siamo fatti di noi stessi coincida con noi stessi. Crediamo che IO non dipenda da cause e condizioni che lo hanno forgiato nel passato e che lo formano nel presente, dalle migliaia di parti e sfaccettature che lo compongono, e soprattutto non abbiamo la minima idea del fatto che l'entità IO possa dipendere dal suo osservatore.
Lo stesso errore lo compiamo osservando e relazionandoci con ogni fenomeno del mondo generando quella che viene chiamata erronea visione dei fenomeni: viviamo cioè, come se gli oggetti e le persone esistessero di per sé, così come li vediamo noi in un fantomatico mondo esterno, ma in verità sia l’IO che il mondo esterno sono un’interpretazione della nostra mente, del nostro sistema nervoso, della nostra esperienza.
Non vediamo la realtà, bensì un insieme di etichette che appiccichiamo su ogni cosa, separandola dal resto. Ogni etichetta è la conseguenza del modo di vedere che abbiamo maturato nel corso della vita.

progetto vajra perle nel tempo corretta visione chiavi
Per accorgervi di questo semplice dato di fatto vi propongo un esempio molto semplificato: una chiave per noi è una chiave e ci sembra di non avere dubbi in proposito ma il modo di vedere questo oggetto per noi di uso comune sarà notevolmente diverso da parte di un uomo che per tutta la vita ha vissuto nella foresta in una capanna dove non esistono porte né tanto meno chiavi. forse potrà vedere la chiave come un gioiello da appendere al collo, usarla come un attrezzo da scultura o per qualsiasi altra funzione gli suggerisca il suo buon senso.


La cognizione non è una rappresentazione di un mondo
che esiste indipendentemente,
ma è continua “generazione di un mondo”
Francisco Varela

Come si può vedere, il concetto è semplicissimo, ma il problema nel metterlo in pratica è che noi non viviamo con la consapevolezza che il mondo sia una nostra proiezione, diamo semplicemente per scontato che il mondo che vediamo là fuori sia IL MONDO, il vero mondo.
Tuttavia, al nostro livello di coscienza IL MONDO non esiste, ne esiste solo un’immagine, la nostra interpretazione.

La verità è che non esiste una verità, 
la verità è l'insieme di tutte le verità individuali.
Lama Gangchen Rimpoche


La conseguenza di iniziare a comprendere questo nuovo modo di pensare innesca lo sgretolarsi dei nostri preconcetti, che vengono finalmente riconosciuti come nostre cristallizzazioni di qualcosa che in realtà può essere visto in molti altri modi diversi. Tutto questo provoca il graduale dissolversi della prigione psichica che ci siamo costruiti da soli e di conseguenza un senso di libertà, di pace e di unione. Abbiamo finalmente la possibilità di vedere e andare oltre.

progetto vajra perle nel tempo corretta visione arcobaleno
Per riassumere il concetto in una semplice definizione possiamo dire che la Corretta Visione è il realizzare che il nostro io e tutti i fenomeni sono privi (vuoti) di una realtà indipendente dalla nostra interpretazione, essi dipendono dall'etichetta che ci incolliamo sopra. Di conseguenza, se impariamo a cambiare etichette cambieremo il mondo. I termini Vuoto, Vacuità e Shunyata intendono proprio la realizzazione di questa comprensione, per questo motivo a volte si pone enfasi su frasi come “La vera natura dei fenomeni è il vuoto” oppure “la forma è vuoto”.
Come viene spesso evidenziato, non basta capire un concetto razionalmente per riuscire a portarne la realizzazione nella nostra vita di ogni giorno, ma in questo ci aiuta la meditazione che, portandoci a un livello più sottile, permette di trasferire le conoscenze dalla mente al cuore.

Stefano

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ABBANDONA LE ILLUSIONI

"Tutto quello che possiamo fare è essere noi stessi, e nessuno può aiutarci in questo. Qualcuno può insegnarti a sciare o a riparare il motore di una macchina, ma non può insegnarti niente di così importante."