Non è scandaloso avere
una verità oggi
e una domani.
È scandaloso non averne
mai.
Dino Basili, Tagliar
corto, 1987
La coerenza è una
qualità decisamente sopravvalutata.
A essa sacrifichiamo
costantemente una parte di noi stessi, quella che non vuole
abbandonarsi al già visto, già vissuto, già sperimentato, quella
che non vuole che ci incateniamo al passato per replicarlo
fedelmente.
Che cosa significa
coerenza? Dal centro del nostro essere tracciamo con cura un cerchio
dal raggio piccolissimo e preserviamo il territorio così delimitato
facendone il nostro regno. E badiamo bene a non valicarne mai il
confine, anzi alziamo alte e possenti mura, perché, al di là, tutto
è sconosciuto, ostile e pericoloso. Salvaguardare la coerenza
significa impiegare le nostre energie per difendere un recinto che
abbiamo delimitato e sul quale abbiamo apposto il cartello: “questo
sono io”. Si tratta di difendere l’immagine di noi che ci preme
conservare con cura: è immutabile, autoreferenziale, può fregiarsi
dei toni dell’affidabilità e rinsaldarsi nella consapevolezza di
continuare ad essere un punto di riferimento per gli altri.
La nostra coerenza potrebbe anche avere caratteristiche completamente diverse, purché ci risultino familiari, confortanti nel confermare la presunzione di avere una conoscenza di noi stessi impassibile allo scorrere del tempo. Così, con le nostre mani ci costruiamo una prigione dalle sbarre dorate che finiamo per identificare con la vita. Questo genere di coerenza diventa ben presto la nostra sola verità: ci sono voluti anni per costruirla, per consolidarla e ne siamo talmente soddisfatti (e assuefatti) che non vogliamo abbandonarla per niente al mondo. Ci sono cose che ci definiscono, limiti invalicabili, intere parti di noi che deleghiamo ad altri, territori sconfinati che ci ostiniamo a non prendere in considerazione. Difendiamo il nostro piccolo mondo, l'infima e minima parte di noi che conosciamo, ad ogni costo, facciamo di tutto per avere ragione, argomentando con dovizia di particolari per controbattere ad ogni possibile obiezione e permettere alla nostra mente di crogiolarsi nel minuscolo orticello nel quale si sente così a suo agio, al riparo da qualsiasi tentativo di mettersi profondamente in discussione. Può essere confortevole o rassicurante quanto si vuole, ma rimane pur sempre una prigione.
La nostra coerenza potrebbe anche avere caratteristiche completamente diverse, purché ci risultino familiari, confortanti nel confermare la presunzione di avere una conoscenza di noi stessi impassibile allo scorrere del tempo. Così, con le nostre mani ci costruiamo una prigione dalle sbarre dorate che finiamo per identificare con la vita. Questo genere di coerenza diventa ben presto la nostra sola verità: ci sono voluti anni per costruirla, per consolidarla e ne siamo talmente soddisfatti (e assuefatti) che non vogliamo abbandonarla per niente al mondo. Ci sono cose che ci definiscono, limiti invalicabili, intere parti di noi che deleghiamo ad altri, territori sconfinati che ci ostiniamo a non prendere in considerazione. Difendiamo il nostro piccolo mondo, l'infima e minima parte di noi che conosciamo, ad ogni costo, facciamo di tutto per avere ragione, argomentando con dovizia di particolari per controbattere ad ogni possibile obiezione e permettere alla nostra mente di crogiolarsi nel minuscolo orticello nel quale si sente così a suo agio, al riparo da qualsiasi tentativo di mettersi profondamente in discussione. Può essere confortevole o rassicurante quanto si vuole, ma rimane pur sempre una prigione.
Una verità unica ed
immutabile non ci aiuta ad evolvere. Aggrapparsi al già noto è come
voler vedere incessantemente lo stesso film, e dallo schermo della
mente al palcoscenico della vita il passo è breve. Una certa verità
ci accompagna fino al punto in cui è funzionale nell'aiutarci a
procedere di qualche passo, poi è necessario andare oltre, vedere il
mondo da nuove prospettive, avere il coraggio di cambiare direzione,
per sviluppare una prospettiva ulteriore e osservare quello che ci
accade con occhi nuovi. Una verità ci accompagna fin tanto che è
utile, ci apre alcune porte, ci consente di salire alcuni gradini, ma
pensare che esista una sola linea guida statica, granitica, che
attraversa la nostra esistenza, significa perdere innumerevoli
occasioni di crescita. Al di là del cerchio che delimita il nostro
io, il nostro mondo, si estende una dimensione immensa, tutta da
esplorare. Occorre solo creare un ponte per superare le barriere
fittizie che ci siamo creati. In questo lavoro di comunicazione, la
nostra carta guida e alleata è l'Arcano Numero 5, il Papa, il
pontefice, vale a dire “il creatore di ponti”, colui che ci
consente di abbracciare realtà altre che solitamente non prendiamo
in considerazione.
Dunque? Quale
atteggiamento possiamo scegliere per proseguire lungo il cammino?
Gli occhi ben aperti, la
lanterna ben ferma nella nostra mano, lo sguardo acuto dell'Eremita,
l'Arcano Numero 9. La consapevolezza è alta, dentro siamo pronti ad
accogliere il cambiamento, pronti ad oltrepassare il ponte, a
scoprire nuove verità, nuovi territori dell'Io. Impariamo ad ascoltare. Questo è il nostro
equipaggiamento: tutto ciò che ci serve è la disciplina di
viaggiare leggeri e sinceri. Procediamo?
Fabrizio
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