Ognuno prende i limiti
del suo campo visivo
per i confini del mondo.
del suo campo visivo
per i confini del mondo.
Arthur Schopenhauer
In matematica, nello
studio di funzione, si presta molta attenzione al concetto di limite.
In particolare, si esamina il comportamento della variabile
matematica (x) quando si avvicina ad un dato valore, osservando quel
che accade alla funzione f(x). Questo perché si parte dal
presupposto che se si analizzano valori di (x) “interessanti”, i
cosiddetti punti notevoli, “punti bizzarri” nei quali succedono
cose strane (studiando ad esempio che cosa succede alla funzione
f(x), quando la variabile (x) assume valori molto vicini al valore
che rende il denominatore nullo), si otterranno informazioni preziose
sull'andamento della funzione f(x).
Ora proviamo a chiederci
cosa succede a noi stessi (funzione f(x)) quando raggiungiamo i
nostri limiti (punti notevoli).
Prima di rispondere, è
utile considerare due definizioni del dizionario della parola limite:
1) “Grado, livello o
punto estremo a cui può giungere qualcosa o qualcuno”;
2) “Termine, confine,
ambito (concreto o ideale) che non può o non deve essere superato”.
La prima sembra avere un
afflato positivo, indicando un traguardo a cui tendere, ma,
esaminandola più accuratamente, implica la descrizione di un confine
che, una volta raggiunto, non consente di espandere ulteriormente la
propria libertà e le proprie potenzialità.
Nel secondo caso non ci
sono dubbi: il limite è definito come cogente, restringe, impone
regole spaziali e temporali, dice quel che si deve fare, facendo
notare quello che non deve essere oltrepassato.
I limiti dunque fissano
il territorio intorno a noi, delimitandolo in maniera
incontrovertibile. Quel che è interessante notare è il nostro
comportamento quando siamo nelle vicinanze dei nostri limiti. Perché
qui possiamo fare la differenza.
Se quando ci avviciniamo
loro, quasi inconsciamente torniamo indietro perché “lì non si
può, non si deve, non è consentito andare …”, stiamo arretrando
davanti alle opportunità altrove della nostra vita e perdiamo
una grande occasione.
Se poi quando ci
approssimiamo ad un limite, lo guardiamo quasi in cagnesco, fra il
rassegnato e l’indignato, chiedendoci quali avverse forze del
destino l’abbiano messo proprio davanti a noi, ci stiamo prendendo
solamente in giro. Ci illudiamo cioè che non rientri nel pieno delle
nostre possibilità rimuovere i nostri limiti e manteniamo intatto il
nostro angusto mondo.
Notiamo bene che in
realtà non c’è nessuna forza esterna che ci costringa a
rispettare i limiti, che peraltro ad un attento esame risulteranno
totalmente autoimposti: noi stessi, infatti, siamo il nostro censore
più severo. E la funzione primaria del limite è proprio consentirci
di scoprire la loro reale inconsistenza.
Se quando arriviamo di fronte ad un limite, anziché cambiare strada, ci fermiamo ad osservarlo nel dettaglio e trovando in noi il coraggio e l’accuratezza nel vedere lo chiamiamo per nome, se cioè riempiamo con forme ben definite i contorni che prima apparivano vaghi, se quindi prendiamo atto che un limite è tale perché è voluto da noi e non c’è nessuna altra spiegazione, allora quel limite già si sta disgregando e sta perdendo il potere bloccante e di distorsione della realtà.
A volte basta un solo
passo per fare la differenza, a volte è un solo gesto ad aprire gli
orizzonti e creare un nuovo mondo, il nostro, quell'immensità che
l’anima sta imparando a conoscere e che anela farci riscoprire.
Fabrizio
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