lunedì 31 marzo 2014

La funzione del limite

Ognuno prende i limiti 
del suo campo visivo 
per i confini del mondo.
Arthur Schopenhauer


In matematica, nello studio di funzione, si presta molta attenzione al concetto di limite. In particolare, si esamina il comportamento della variabile matematica (x) quando si avvicina ad un dato valore, osservando quel che accade alla funzione f(x). Questo perché si parte dal presupposto che se si analizzano valori di (x) “interessanti”, i cosiddetti punti notevoli, “punti bizzarri” nei quali succedono cose strane (studiando ad esempio che cosa succede alla funzione f(x), quando la variabile (x) assume valori molto vicini al valore che rende il denominatore nullo), si otterranno informazioni preziose sull'andamento della funzione f(x).
Ora proviamo a chiederci cosa succede a noi stessi (funzione f(x)) quando raggiungiamo i nostri limiti (punti notevoli).


Prima di rispondere, è utile considerare due definizioni del dizionario della parola limite:
1) “Grado, livello o punto estremo a cui può giungere qualcosa o qualcuno”;
2) “Termine, confine, ambito (concreto o ideale) che non può o non deve essere superato”.
La prima sembra avere un afflato positivo, indicando un traguardo a cui tendere, ma, esaminandola più accuratamente, implica la descrizione di un confine che, una volta raggiunto, non consente di espandere ulteriormente la propria libertà e le proprie potenzialità.
Nel secondo caso non ci sono dubbi: il limite è definito come cogente, restringe, impone regole spaziali e temporali, dice quel che si deve fare, facendo notare quello che non deve essere oltrepassato.
I limiti dunque fissano il territorio intorno a noi, delimitandolo in maniera incontrovertibile. Quel che è interessante notare è il nostro comportamento quando siamo nelle vicinanze dei nostri limiti. Perché qui possiamo fare la differenza.
Se quando ci avviciniamo loro, quasi inconsciamente torniamo indietro perché “lì non si può, non si deve, non è consentito andare …”, stiamo arretrando davanti alle opportunità altrove della nostra vita e perdiamo una grande occasione.
Se poi quando ci approssimiamo ad un limite, lo guardiamo quasi in cagnesco, fra il rassegnato e l’indignato, chiedendoci quali avverse forze del destino l’abbiano messo proprio davanti a noi, ci stiamo prendendo solamente in giro. Ci illudiamo cioè che non rientri nel pieno delle nostre possibilità rimuovere i nostri limiti e manteniamo intatto il nostro angusto mondo.
Notiamo bene che in realtà non c’è nessuna forza esterna che ci costringa a rispettare i limiti, che peraltro ad un attento esame risulteranno totalmente autoimposti: noi stessi, infatti, siamo il nostro censore più severo. E la funzione primaria del limite è proprio consentirci di scoprire la loro reale inconsistenza.


Se quando arriviamo di fronte ad un limite, anziché cambiare strada, ci fermiamo ad osservarlo nel dettaglio e trovando in noi il coraggio e l’accuratezza nel vedere lo chiamiamo per nome, se cioè riempiamo con forme ben definite i contorni che prima apparivano vaghi, se quindi prendiamo atto che un limite è tale perché è voluto da noi e non c’è nessuna altra spiegazione, allora quel limite già si sta disgregando e sta perdendo il  potere bloccante e di distorsione della realtà.
A volte basta un solo passo per fare la differenza, a volte è un solo gesto ad aprire gli orizzonti e creare un nuovo mondo, il nostro, quell'immensità che l’anima sta imparando a conoscere e che anela farci riscoprire.
Fabrizio





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