Non essere consapevoli
vuol dire non esistere.
Marshall McLuhan
Negli anni sessanta gli psicologi Paul Fitts e Michael Posner individuarono i tre stadi che una persona attraversa quando impara una nuova tecnica. Si inizia con la “fase cognitiva” in cui si impara la procedura e si scoprono nuove strategie per eseguirla nel miglior modo possibile.
Si passa poi attraverso lo “stadio associativo” nel quale il soggetto necessita di un grado inferiore di concentrazione, commette sempre meno errori e diviene più efficiente. Si giunge infine alla fase dello “stadio autonomo”, nel quale la persona ritiene di essersi allenata abbastanza, procede in modo abitudinario e vive di rendita. Questo modo di procedere, praticato dalla maggior parte delle persone, comporta come conseguenza che, nonostante un individuo svolga per anni una determinata mansione, da un certo punto in poi, il processo di miglioramento si interrompa. Pensiamo ad esempio all’attività di guidare: dopo aver appreso la tecnica, la maggior parte degli automobilisti smette di concentrarsi sul come guidare, per inserire “il pilota automatico”. Risultato: i miglioramenti del proprio stile di guida col passare degli anni sono nulli.
Anche nel Lavoro, per poter evolvere e progredire occorre essere costantemente consapevoli di quello che stiamo facendo, riconoscere quando ci accontentiamo di quello che sappiamo e siamo, e puntare con decisione verso uno sviluppo reale, qualitativo e non solo quantitativo. Naturalmente questo tipo di consapevolezza di sé richiede un impegno concreto che va al di là della semplice presa di coscienza della necessità di superare l'inerzia. La soluzione si chiama “pratica intenzionale” e consente di elaborare strategie per non cadere nell’automatismo. Questi sono i passi principali da seguire:
1) Ci concentriamo sulla tecnica, nel nostro caso sulle strategie per sviluppare l’aspetto di noi stessi sul quale vogliamo lavorare;
2) Non perdiamo mai di vista l’obiettivo finale, cioè evolvere;
3) Ci premuriamo di avere un riscontro immediato e costante dei nostri progressi (individuiamo dove abbiamo sbagliato, come correggere gli errori, come costruire strategie che più si adattino alle nostre caratteristiche...)
La “pratica intenzionale” deve essere più difficoltosa, nel senso che deve spingerci a oltrepassare i nostri limiti (i quali, se visti ed identificati, sono virtualmente già superati) e ad alzare il nostro livello. Se diamo retta alle voci della società che costantemente ci blandiscono garantendoci che certi limiti non sono superabili, non riusciremo mai a spingerci oltre. Dicevano che nessun uomo avrebbe potuto correre il miglio in meno di 4 minuti. Da quando Roger Bannister ha infranto quel limite, il tempo sul miglio è stato migliorato per ben 19 volte e oggi il record mondiale è 3'43"13.
Per migliorare occorre essere disposti a correre dei rischi e fare degli errori.
Per migliorare occorre osservarsi e imparare dagli errori.
Per migliorare occorre riesaminare, ripensare, ricominciare da capo.
La pratica costante, così come il numero di anni passati a praticare, non sono una condizione necessaria e sufficiente per progredire. Gli esperti si esercitano su cose per loro sempre più difficili e che fanno più raramente, i dilettanti continuano a cimentarsi in quelle che conoscono già.
Ed ecco un esercizio che fa al caso nostro:
Individuiamo un settore della nostra vita nel quale vogliamo migliorare. Possiamo scegliere qualcosa di molto concreto come acquisire una nuova abilità o conoscenza, ad esempio imparare una nuova lingua, oppure più elaborato come risolvere un problema che ci attanaglia da lungo tempo, ad esempio la paura del vuoto. Ora applichiamo la tecnica della “pratica intenzionale”, cerchiamo di applicare le strategie migliori, proviamo, riproviamo, concediamoci il coraggio di sbagliare senza sensi di colpa, concentriamoci, aumentiamo la consapevolezza, ricerchiamo il limite, proviamo ad infrangerlo, ripensiamo, riesaminiamo e, quando necessario, ricominciamo da capo.
Fabrizio
ESCI DAL LABIRINTO
"A nostra insaputa, noi viaggiamo in un labirinto, un dedalo macrodimensionale di viva forza elettrica, rivestito dal sottile strato dell'ordinarietà della vita di tutti i giorni."
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