The lights are on
but no one's home.
Amy Winehouse
Capita in continuazione:
Leggiamo un libro e ad un certo
punto ci accorgiamo che interi paragrafi sono finiti nell’oblio, del tutto
inosservati dalla nostra attenzione.
Stiamo cucinando e
improvvisamente ci rendiamo conto delle lunghe porzioni di tempo in cui la
nostra mente ha proceduto seguendo direzioni non stabilite da noi.
Guidiamo e appena spento il
motore realizziamo di ricordare poco o nulla del tragitto appena percorso.
Dove eravamo?
Perché lasciamo così
arrendevolmente che la mente si impossessi delle trame e del percorso dei
nostri pensieri?
Perché il nostro essere se ne va
inavvertitamente, portando la sua presenza e attenzione da qualche altra parte,
senza che di questa esperienza conserviamo alcun ricordo? Dove va e soprattutto
chi rimane?
È come se la nostra casa fosse
abitata da un’orda di personaggi che, a turno, prendono in mano le redini della
situazione. Il padrone di casa è stanco e delega. Delega la sua attenzione, il
suo potere, la sua consapevolezza. Lo fa in maniera automatica ed inconscia,
tipica dell’uomo che dorme orizzontalmente e verticalmente.
Mi direte che ormai sono cose
note.
È vero, sono tutte cose che
sappiamo, ma non è anche detto che le conosciamo.
Per conoscenza intendo quella
esperita, che ad es. i neonati sperimentano attraverso la bocca, succhiando,
oppure afferrando gli oggetti con le mani.
Se vogliamo procedere
consapevolmente occorre diventare coscienti di quello che ci accade e, imparando
a conoscerlo, trovare il modo di superare la prigionia. La chiave è in noi,
nella volontà di evolvere e andare oltre ciò che già sappiamo o crediamo di
essere.
Osserviamo ad es. i nostri pensieri. Sembra che essi abbiano vita propria: si agitano in mille direzioni, incontrollabili e ognuno reclama per sé la nostra attenzione. Si succedono con costante ed implacabile sollecitudine, dandoci quella sensazione di assuefazione che ci fa sembrare abituale ciò che invece è un’anomalia e di cui possiamo avere un’esperienza diretta con un esercizio molto semplice:
Chiudiamo gli occhi e osserviamo
il corso dei pensieri per trenta secondi. Poi facciamoci questa domanda:
sappiamo quale sarà il prossimo pensiero? Lo stabiliamo noi?
Ora chiudiamo nuovamente gli
occhi e proviamo a non pensare a niente per lo stesso lasso di tempo. Noteremo
che, se non sono pensieri che vengono a noi con flusso incessante, sono
immagini. Immagini che si formano davanti a noi, varie e multiformi.
Il quadro che emerge non è così frustrante
perché, se ci tranquillizziamo e ci centriamo, potrebbe capitare che emerga
semplicemente il buio, il silenzio ed affiori l’essere, il presente, tutto ciò
che rimane per sottrazione da quel coacervo di rumori di fondo, vale a dire il
vuoto. E lì non ci saranno pensieri che cercano di convogliare la nostra
attenzione su un futuro inesistente o su un passato di cui sopravvive solo il
ricordo. In quel momento siamo solamente noi.
E certamente non siamo i nostri
pensieri. La loro assenza non ci priva della nostra esistenza. Non corriamo
alcun rischio, se non quello di essere liberi. Liberi di essere quel che siamo.
Non è necessario indossare l’armatura e spianare le armi per muovere guerra alla mente, anzi, un’approccio amorevole e attento è il nostro migliore alleato per ottenere risultati durevoli, come si può sperimentare svolgendo semplici esercizi, ad es. la meditazione dei 21 respiri: calmare lamente.
È sufficiente essere osservatori
consapevoli. Sì, di per sé è sufficiente, ma nient’affatto scontato.
Alla prima distrazione qualcun
altro farà da padrone in casa nostra ed ecco allora la personalità che
parodiando l’essere riprende il controllo della nostra vita, riproponendo
reazioni e automatismi in una farsa cui siamo troppo abituati.
E l’essere aspetta?
Aspetta noi.
Noi che ci incamminiamo per
incontrarlo.
Fabrizio
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