Niente è duraturo come il cambiamento
Ludwig Borne
Guardando il video di Andrea Pietrangeli mi imbatto in un pensiero
davvero degno di nota: se nell’ultima settimana sono rimasto uguale
a me stesso, interamente aderente a ciò che di me già conosco,
sicuramente dovrebbe suonare un campanello di allarme.
La questione sta realmente in questi termini. Innanzitutto non si
pensi che il lasso di tempo di una settimana sia un’esagerazione:
l’accelerazione è certamente in atto e noi siamo chiamati a
tenerne conto. La chiave di volta è dunque la parola cambiamento.
Che cosa significa cambiare e perché è così importante? Iniziamo
dalla seconda parte della domanda. Il cambiamento è fondamentale in
un primo tempo per farci uscire dallo stato di inerzia, di abitudine
a cui i tanti “noi” (famiglia, scuola, istituzioni, società,
coppia...) ci vincolano, limitando in modo implicito ma inesorabile
il potenziale di espressione di ciascuno. Cambiamento, quindi, inteso
come strumento per uscire da un mondo meccanico, automatico, proprio
di una macchina biologica addormentata. Cambiamento come metodo per
modificare il proprio comportamento da reattivo (semplice adeguamento
istintivo ad uno stimolo) a proattivo (gestione cosciente del proprio
agire). Sulla strada che porta al risveglio, il cambiamento è il
propellente che permette alla nostra fornace di continuare ad ardere
e di spingerci ad avanzare lungo il cammino.
L’anima accoglie con entusiasmo il cambiamento, perché anela
fare nuove esperienze evolutive e, quando anche l'io cosciente si
sincronizza sulla stessa frequenza vibrazionale, la vita viene
inondata dalla luce della pienezza del momento presente e di tutte le
enormi potenzialità dell'essere consapevole. Cambiamento non è una
parola astratta, anzi: sottende alla concretezza, all’azione,
all’esperienza.
C’è un metodo molto semplice per accorgersi precisamente di
dove il cambiamento non trova spazio: osservare la propria vita con
un certo distacco, quasi come fosse l'esistenza di qualcun altro. In
questo stato, provo a stilare una lista dettagliata di tutte le cose
che faccio sempre nello stesso modo, giustificato da parole come
abitudine, utilità, ottimizzazione, fretta, o da altre insensatezze
quali le apologie riguardo al “perché fanno tutti così e se si è
sempre fatto in quel modo un motivo ci sarà”. Inserisco subito la
strada che percorro ogni mattino, la sequenza di azioni prima di
coricarmi o i gesti che seguono il risveglio; aggiungo tutti i luoghi
comuni personali costruiti nell'arco di una vita di distratta delega
della propria libertà di vivere l'esperienza a vantaggio
dell'interpretazione comune, pedissequa, in omaggio ad una
maggioranza non meglio identificata né identificabile di individui
che affermano “vorrei leggere ma non ho tempo”, “il venerdì si
mangia pesce”, “il sabato si fanno le pulizie”.
Dopo aver compilato la lista, mi dedico, sistematicamente, a
ciascun elemento dell’elenco e la semplice osservazione dei fatti
lascia emergere alcune riflessioni. Ha davvero senso per me svolgere
questa azione in questo modo? Posso vedere le cose da un altro punto
di vista? Posso provare a cambiare prospettiva e ad agire
diversamente? Posso concedermi il diritto e la soddisfazione di
rompere una coerenza inutile e dannosa? Posso imparare cose nuove
scrollandomi di dosso lunghe serie preconfezionate di pensieri,
gesti, azioni e ampliare i miei orizzonti? Insomma, perché no?
Se fin da piccoli ci è stato insegnato ad aprire il nostro
compasso il minimo indispensabile per disegnare un cerchio entro cui
definire i nostri limiti e confini, in ogni momento possiamo renderci
conto che è sufficientemente agevole puntare il laser
dell'attenzione e ridefinire anche quei contorni che sembravano
indelebili. Così dal disegno della nostra esistenza svaniscono le
illusioni e riemerge la vivida sensatezza di ogni dettaglio
deliberato nei minimi particolari, proprio come la realtà che
costruiamo ad ogni respiro.
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