lunedì 28 aprile 2014

Perché no?

Niente è duraturo come il cambiamento
Ludwig Borne

Guardando il video di Andrea Pietrangeli mi imbatto in un pensiero davvero degno di nota: se nell’ultima settimana sono rimasto uguale a me stesso, interamente aderente a ciò che di me già conosco, sicuramente dovrebbe suonare un campanello di allarme.
La questione sta realmente in questi termini. Innanzitutto non si pensi che il lasso di tempo di una settimana sia un’esagerazione: l’accelerazione è certamente in atto e noi siamo chiamati a tenerne conto. La chiave di volta è dunque la parola cambiamento. Che cosa significa cambiare e perché è così importante? Iniziamo dalla seconda parte della domanda. Il cambiamento è fondamentale in un primo tempo per farci uscire dallo stato di inerzia, di abitudine a cui i tanti “noi” (famiglia, scuola, istituzioni, società, coppia...) ci vincolano, limitando in modo implicito ma inesorabile il potenziale di espressione di ciascuno. Cambiamento, quindi, inteso come strumento per uscire da un mondo meccanico, automatico, proprio di una macchina biologica addormentata. Cambiamento come metodo per modificare il proprio comportamento da reattivo (semplice adeguamento istintivo ad uno stimolo) a proattivo (gestione cosciente del proprio agire). Sulla strada che porta al risveglio, il cambiamento è il propellente che permette alla nostra fornace di continuare ad ardere e di spingerci ad avanzare lungo il cammino.


L’anima accoglie con entusiasmo il cambiamento, perché anela fare nuove esperienze evolutive e, quando anche l'io cosciente si sincronizza sulla stessa frequenza vibrazionale, la vita viene inondata dalla luce della pienezza del momento presente e di tutte le enormi potenzialità dell'essere consapevole. Cambiamento non è una parola astratta, anzi: sottende alla concretezza, all’azione, all’esperienza.
C’è un metodo molto semplice per accorgersi precisamente di dove il cambiamento non trova spazio: osservare la propria vita con un certo distacco, quasi come fosse l'esistenza di qualcun altro. In questo stato, provo a stilare una lista dettagliata di tutte le cose che faccio sempre nello stesso modo, giustificato da parole come abitudine, utilità, ottimizzazione, fretta, o da altre insensatezze quali le apologie riguardo al “perché fanno tutti così e se si è sempre fatto in quel modo un motivo ci sarà”. Inserisco subito la strada che percorro ogni mattino, la sequenza di azioni prima di coricarmi o i gesti che seguono il risveglio; aggiungo tutti i luoghi comuni personali costruiti nell'arco di una vita di distratta delega della propria libertà di vivere l'esperienza a vantaggio dell'interpretazione comune, pedissequa, in omaggio ad una maggioranza non meglio identificata né identificabile di individui che affermano “vorrei leggere ma non ho tempo”, “il venerdì si mangia pesce”, “il sabato si fanno le pulizie”.
Dopo aver compilato la lista, mi dedico, sistematicamente, a ciascun elemento dell’elenco e la semplice osservazione dei fatti lascia emergere alcune riflessioni. Ha davvero senso per me svolgere questa azione in questo modo? Posso vedere le cose da un altro punto di vista? Posso provare a cambiare prospettiva e ad agire diversamente? Posso concedermi il diritto e la soddisfazione di rompere una coerenza inutile e dannosa? Posso imparare cose nuove scrollandomi di dosso lunghe serie preconfezionate di pensieri, gesti, azioni e ampliare i miei orizzonti? Insomma, perché no?



Se fin da piccoli ci è stato insegnato ad aprire il nostro compasso il minimo indispensabile per disegnare un cerchio entro cui definire i nostri limiti e confini, in ogni momento possiamo renderci conto che è sufficientemente agevole puntare il laser dell'attenzione e ridefinire anche quei contorni che sembravano indelebili. Così dal disegno della nostra esistenza svaniscono le illusioni e riemerge la vivida sensatezza di ogni dettaglio deliberato nei minimi particolari, proprio come la realtà che costruiamo ad ogni respiro.
Fabrizio







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