lunedì 26 maggio 2014

Mille immagini riflesse

Basta guardare qualcuno in faccia un po' di più, 
per avere la sensazione, alla fine, 
di guardarti in uno specchio.
Paul Auster


È straordinario e, specialmente all’inizio, sorprendente, una sorpresa che rasenta l’incredulità, soprattutto quando si converge su se stessi e non ci si accontenta di parlare a livello teorico:
Gli altri, le persone che ci circondano, che animano la nostra vita, parlano a noi, parlano di noi, incessantemente. Chiunque pensi che esista qualcosa di esterno, là, lontano, che non sia in intima connessione con noi, pone dei seri limiti alla conoscenza delle leggi che regolano la vita. Noi stessi, quando guardiamo gli altri e formuliamo su di loro giudizi, ne esploriamo il carattere e ci lamentiamo dei loro comportamenti, delle loro manie, delle asperità delle loro parole, in realtà stiamo guardando il nostro specchio personale preferito.



Anche se siamo disposti ad ammettere che questa è la regola generale, all’inizio pensiamo comunque che ci sia un cospicuo numero di eccezioni. Siamo convinti che quella persona antipatica “meriti” la nostra disapprovazione: è lei ad essere odiosa, il suo atteggiamento è oggettivamente sopra le righe, è impossibile non essere infastiditi dai suoi difetti. Tutto questo è palesemente falso: non sono le azioni in sé ad essere buone o cattive, è soltanto la nostra percezione che, filtrata dalla nostra sensibilità, le fa risuonare alla nostra frequenza. Questo per un motivo molto semplice: perché nonostante le apparenze vogliamo risolvere e guarire le nostre ferite e così richiamiamo intorno a noi persone, circostanze, avvenimenti che costantemente ci ricordino di lavorare su quanto ancora non abbiamo risolto.



Ricordate cosa disse Gesù mentre lo stavano crocifiggendo? Perdonali Padre perché non sanno quello che fanno; egli non percepiva l’aggressività dei suoi carnefici poiché in lui non vi era alcuna traccia di questo comportamento reattivo. Analogamente, uno stesso avvenimento “problematico” può lasciarci indifferenti o suscitare un gran numero di reazioni diverse. Quando questo avviene, è pratica utilissima chiedersi il motivo della nostra insofferenza, perché è in questo lavoro di analisi che si nasconde la chiave per decodificare i segnali che il nostro sé più profondo ci manda per guarire. Ed i segnali sono ad esempio il confrontarsi con persone “fastidiose” che in realtà richiamano l’attenzione su parti di noi stessi che dobbiamo riconoscere, affrontare ed integrare. 
Le qualità negative che percepiamo negli altri sono solo riflessi di noi stessi, sui quali siamo chiamati ad aprire gli occhi. Le qualità positive che ammiriamo negli altri sono ugualmente delle parti di noi stessi che siamo chiamati a far uscire dall’ombra. Se le abbiamo riconosciute negli altri, sono presenti, latenti ed in potenza, anche in noi stessi. È impossibile riconoscere qualcosa negli altri che non sia presente anche in noi stessi.
Le cose sono semplici (ma questo non significa che siano facili) e basta cambiare la prospettiva per trasformare la vita quotidiana in uno straordinario ed impareggiabile strumento pratico di lavoro su di sé. Non è meraviglioso?

Fabrizio





lunedì 12 maggio 2014

Spunti di meditazione

Se la tradizione riflette la conoscenza,
la spiritualità vive nella pratica.


Stavo meditando – precisamente lavando i piatti - quando sono affiorate alla mia coscienza le parole che ho scelto come citazione per questo post. Più che a me, credo appartengano all'umanità, perché racchiudono verità trasversali interessanti, che ci rendono consapevoli della dimensione in cui si manifesta l'insegnamento autentico: la vita quotidiana.


L'unico insegnamento effettivo, nell'universo dell'azione, è l'esempio, e anche dal punto di vista della dimensione temporale ci troviamo in un periodo nel quale questo principio cosmico risulterà sempre più chiaro. L'energia sulla Terra si sta elevando: più aumenta la luce, più le ombre diventano evidenti. Per non reagire meccanicamente alle sollecitazioni esterne, ormai sempre più numerose, frequenti e complesse rappresentazioni di una realtà sottile in piena trasmutazione, e poter cogliere l'opportunità in ogni situazione, è necessario mantenere la propria centratura, la consapevolezza del qui ed ora e la connessione con l'essere divino e imperturbabile di cui siamo parte e veicolo di conoscenza. In questo basilare lavoro su di sé la meditazione sicuramente è di grande aiuto, perché tra i suoi molti benefici offre la quiete della mente e l'accesso alla fonte della pace interiore.


Meditazione significa essenzialmente consapevolezza, la capacità di riconoscere ciò che è e di osservarlo semplicemente così com'è, ed è a questa azione nella non azione che occorre dedicarsi per lasciare spazio all'evoluzione. Più meditiamo, più aiutiamo noi stessi e l'intero pianeta. A volte però, anche quando abbiamo intenzione di fare bene, è il piccolo io ad avere la meglio, trascinandoci in una spirale discendente di comportamenti solo all'apparenza consapevoli. Non è affatto raro che i cercatori in cammino incorrano in simili deviazioni di percorso e abbiamo già riflettuto sulle convinzioni fuorvianti dell'ego spirituale. Oggi però intendo ribadire un concetto fondamentale, parafrasando la riflessione di Andrea Panatta apparsa su un vecchio numero di OltreConfine: se dopo aver meditato tre ore sul vuoto, al primo screzio con il partner dai di matto e magari ti convinci anche di avere un buon motivo per essere fuori di te, c'è un problema e certamente non ha a che fare con l'altra persona o con la situazione, bensì con il tuo approccio disfunzionale alla meditazione. Come tutte le discipline spirituali, che si chiamano pratiche proprio perché la loro componente essenziale sta nell'esperienza e non nella teoria dell'illuminazione, la meditazione migliora il rapporto con te stesso e con la realtà qui ed ora. Dunque, se a seguito della pratica torni immancabilmente a dare il peggio di te, non è perché la meditazione non funziona; molto probabilmente è quel particolare esercizio ad essere inadatto per te in questo momento.


La meditazione funziona sempre: se il metodo che utilizziamo non apporta benefici, evidentemente esso non è commisurato alla nostra condizione presente ed è opportuno scegliere più sensatamente. Per sapersi orientare bisogna imparare ad ascoltarsi e ad essere sinceri con se stessi nel riconoscere sia le proprie aspirazioni sia i propri limiti attuali. È possibile che trascorrere ore nella posizione del loto costituisca uno sforzo insensato per un occidentale; è altrettanto possibile che perfino gli esercizi di meditazione a scopo divulgativo, ormai diffusissimi e strutturati in base al livello del praticante, non siano adatti ad ogni contemporaneo, specialmente se non si può avvalere di una guida esperta, perché certo Nessun uomo è un Maestro ma anche su questo pianeta la disciplina e la tradizione vengono impartiti dai buoni insegnanti solo ad allievi pronti a riceverle. Comunque anche questo non è un problema. Per raggiungere uno stato meditativo non è affatto necessario meditare, almeno non nel senso tradizionale del termine. Abbiamo già descritto il modo in cui fare ordine, ad esempio in casa, possa costituire un'ottima meditazione, ma esistono molti altre attività adatte ad esercitare la pratica di uno stato meditativo. Cercherò di portarne alla tua attenzione alcune che nella mia esperienza si sono dimostrate veramente potenti e utili, nel frattempo ti invito a osservare attentamente la tua quotidianità: quali mansioni ti immergono spontaneamente in uno stato meditativo? Qualunque esse siano, sicuramente rappresentano un ottimo spunto grazie al quale approfondire il cammino della consapevolezza.

Mariavittoria