lunedì 19 agosto 2013

Sono dove devo essere


Finisco raramente dove devo andare,
 ma finisco quasi sempre 
dove devo essere. 
Douglas Adams

Pensiamo di sapere che cosa sia meglio per noi e come raggiungerlo.
Pensiamo di sapere quali cose ci fanno bene e quali sono da evitare.
Pensiamo di conoscere a menadito ogni ciottolo del percorso che intraprenderemo.
Ma è realmente così?
No, almeno, non sempre.
È vero che veniamo sempre soddisfatti in ogni nostra richiesta, ogni nostro desiderio viene sempre recepito dall’universo che si prodiga per darci quanto abbiamo domandato. Ma se bastasse schioccare le dita per venire immediatamente esauditi esattamente secondo le nostre aspettative, dove starebbe la nostra crescita? Sarebbe come stare perennemente in un giardino con piscina, seduti su una sdraio a dare ordini ed aspettare che vengano eseguiti, magari storcendo la bocca se l’universo non si fa trovare alacremente sollecito ai nostri dettami.
Nessun lavoro su di sè sarebbe possibile.
“Avrai quel che vorrai, ma non come lo vuoi tu”, ricorda lo spirito saggio. E questo fa tutta la differenza. È nel “non come lo vuoi tu” che possiamo imparare, che la vita davvero ci offre l’occasione di accorgerci di chi siamo e di dove stiamo andando veramente.

Quando cresciamo, quando vibriamo a parecchie ottave più in alto, dove dobbiamo andare e dove dobbiamo essere coincidono. Vediamo il nostro percorso con maggiore chiarezza, non ci sottraiamo alle esperienze che ci sono utili e puntiamo direttamente all’essenza del nostro essere. Non veniamo sballottati dalle esperienze della vita, andando costantemente in direzione ostinata e contraria, con la vita stessa che tenta disperatamente, a volte bruscamente, di riportarci in carreggiata. L’essere insensibili ai richiami saggi dell’universo dipende dal nostro grado di inconsapevolezza, dalla pretesa, presuntuosa, di sapere esattamente quale sia il nostro bene e di volere tenere tutto sotto controllo. Opponendo resistenza, nuotando controcorrente, oltre a sprecare preziose energie, rischiamo di percorrere una lunga, tortuosa e accidentata deviazione, solo per ritrovarci ad un punto del cammino dove avremmo potuto arrivare con meno sforzo se solo avessimo saputo ascoltare ed ascoltarci.

Finire dove dobbiamo essere è un’esperienza comune nella vita, anche solo per alcuni brevi momenti del nostro incedere. Ognuno avrà percepito la sensazione di essere diventato chi è grazie alle esperienze del proprio passato. Sofferenze, disillusioni, gioie, incontri, ostacoli, tutto ha concorso alla messa in luce di chi siamo, tutto ci ha plasmato per portarci a questo punto. Le prove della vita ci hanno permesso di fronteggiare tanti stati d’animo bui, di divenirne padroni, di conoscerne ogni sfumatura: ora siamo in grado di illuminare quelle tenebre in quanto, essendo la natura duale, conosciamo e sappiamo apprezzare veramente la luminosità proprio perché abbiamo scandagliato il polo opposto: l’oscurità.
Ognuno avrà provato anche la sensazione frustrante di trovarsi ad un punto morto della propria vita. È un’illusione. Nel fluire dell’esistenza non esistono punti morti né vicoli ciechi. È solo un effetto ottico, una distorsione causata da una erronea percezione, una amomalia prodotta da una prospettiva alterata. L’ostinazione a procedere unicamente dove si vuole andare causa anche questi scompensi e l’attrito tra il desiderio estrinseco di avere sempre di più e la necessità ontologica di essere. D’altronde Eric Fromm aveva ben individuato la dualità fra avere o essere.
E noi, da che parte vogliamo vivere?

Fabrizio


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"La Conoscenza, per gli orientali, è la scoperta di se stessi attraverso la contemplazione del mondo."





 

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