Finisco raramente dove devo andare,
ma finisco
quasi sempre
dove devo essere.
Douglas Adams
dove devo essere.
Douglas Adams
Pensiamo
di sapere che cosa sia meglio per noi e come raggiungerlo.
Pensiamo
di sapere quali cose ci fanno bene e quali sono da evitare.
Ma
è realmente così?
No,
almeno, non sempre.
È
vero che veniamo sempre soddisfatti in ogni nostra richiesta, ogni nostro
desiderio viene sempre recepito dall’universo che si prodiga per darci quanto
abbiamo domandato. Ma se bastasse schioccare le dita per venire immediatamente
esauditi esattamente secondo le nostre aspettative, dove starebbe la nostra
crescita? Sarebbe come stare perennemente in un giardino con piscina, seduti su
una sdraio a dare ordini ed aspettare che vengano eseguiti, magari storcendo la
bocca se l’universo non si fa trovare alacremente sollecito ai nostri dettami.
Nessun lavoro su di sè sarebbe possibile.
Nessun lavoro su di sè sarebbe possibile.
“Avrai
quel che vorrai, ma non come lo vuoi tu”, ricorda lo spirito saggio. E questo
fa tutta la differenza. È nel “non come lo vuoi tu” che possiamo imparare,
che la vita davvero ci offre l’occasione di accorgerci di chi siamo e di dove
stiamo andando veramente.
Quando
cresciamo, quando vibriamo a parecchie ottave più in alto, dove dobbiamo andare
e dove dobbiamo essere coincidono.
Vediamo il nostro percorso con maggiore chiarezza, non ci sottraiamo alle
esperienze che ci sono utili e puntiamo direttamente all’essenza del nostro
essere. Non veniamo sballottati dalle esperienze della vita, andando
costantemente in direzione ostinata e contraria, con la vita stessa che tenta
disperatamente, a volte bruscamente, di riportarci in carreggiata. L’essere
insensibili ai richiami saggi dell’universo dipende dal nostro grado di
inconsapevolezza, dalla pretesa, presuntuosa, di sapere esattamente quale sia
il nostro bene e di volere tenere tutto sotto controllo. Opponendo resistenza,
nuotando controcorrente, oltre a sprecare preziose energie, rischiamo di percorrere
una lunga, tortuosa e accidentata deviazione, solo per ritrovarci ad un punto
del cammino dove avremmo potuto arrivare con meno sforzo se solo avessimo
saputo ascoltare ed ascoltarci.
Finire
dove dobbiamo essere è un’esperienza comune nella vita, anche solo per alcuni
brevi momenti del nostro incedere. Ognuno avrà percepito la sensazione di essere diventato chi è grazie alle esperienze del proprio passato.
Sofferenze, disillusioni, gioie, incontri, ostacoli, tutto ha concorso alla
messa in luce di chi siamo, tutto ci ha plasmato per portarci a questo punto.
Le prove della vita ci hanno permesso di fronteggiare tanti stati d’animo bui,
di divenirne padroni, di conoscerne ogni sfumatura: ora siamo in grado di
illuminare quelle tenebre in quanto, essendo la natura duale, conosciamo e
sappiamo apprezzare veramente la luminosità proprio perché abbiamo scandagliato
il polo opposto: l’oscurità.
Ognuno
avrà provato anche la sensazione frustrante di trovarsi ad un punto morto della
propria vita. È un’illusione. Nel fluire dell’esistenza non esistono punti
morti né vicoli ciechi. È solo un effetto ottico, una distorsione causata da
una erronea percezione, una amomalia prodotta da una prospettiva alterata.
L’ostinazione a procedere unicamente dove si vuole andare causa anche questi
scompensi e l’attrito tra il desiderio estrinseco di avere sempre di più e la
necessità ontologica di essere. D’altronde Eric Fromm aveva ben individuato la
dualità fra avere o essere.
E
noi, da che parte vogliamo vivere?
Fabrizio
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