lunedì 7 luglio 2014

Il rigore e la grazia

La grazia è bellezza in movimento.
Gotthold Ephraim Lessing


La Cabbalà, nella sua infinita saggezza, offre numerosi spunti di riflessione.
Prendiamo in considerazione l’Albero della Vita, diviso simbolicamente in tre distinti pilastri: Jachin, il pilastro destro della grazia e della misericordia, Boaz, il pilastro sinistro del rigore e della giustizia, e il pilastro centrale dell’equilibrio e dell’armonia. Chi entra maggiormente in risonanza con il pilastro sinistro, tenderà ad avere una visione più rigorosa dell’esistenza, legata ad una corrispondenza diretta fra sforzi e risultati, in un’eterna ghirlanda di cause ed effetti che manifestano delle conseguenze secondo il criterio simboleggiato dalla personificazione della giustizia, una figura femminile coronata che impugna la spada in una mano e regge una bilancia nell’altra, come si evince dall’iconografia più diffusa dell’ottavo Arcano dei Tarocchi.


Chi invece sente maggiore affinità con il pilastro della grazia, tenderà ad accordarsi all’etica della fede, consapevole che l’universo provvederà benevolmente ad ogni suo bisogno. A prima vista, queste due prospettive sembrano inconciliabili; in realtà, quando desideriamo che nella nostra vita avvenga un miglioramento, dobbiamo non solo muoverci attivamente affinché non rimanga nulla di intentato che possa favorire la manifestazione, come è noto a quanti utilizzano la volontà e il rigore come strumenti primari di crescita, ma anche sviluppare la predisposizione necessaria a ricevere, aprendosi alla capacità di attendere con fiducia e fede di assaporare gli imperscrutabili frutti della provvidenza. Naturalmente, si tratta di un processo di integrazione semplice ma tutt’altro che facile e spesso, lungo il percorso, può accadere di diventare i peggiori nemici di se stessi, specialmente quando correnti subconsce, a noi per lo più ignote ma dotate di una forza attrattiva straordinaria, si nutrono degli schemi consolidati dalla nostra personalità e inaspettatamente lavorano contro di noi. Supponiamo ad esempio che io desideri ardentemente ottenere una promozione sul lavoro. A tal fine, mi ispirerò con diligenza al pilastro del rigore, mantenendo alacremente un costante atteggiamento proattivo e professionale. Farò quindi il mio dovere e anche di più. I primi problemi sorgeranno quando verrà il momento di affidarsi al pilastro della grazia, cioé proprio in concomitanza al momento della promozione: inizierò a pensare che non ricevo nessun riconoscimento da ben sette anni, mentre tutti i miei colleghi hanno già ottenuto qualcosa. Così, tra una lamentela e un giudizio, comincerò ad affezionarmi all’idea precostituita di essere una persona di valore costretta a subire una grande ingiustizia. Mi baloccherò con l’immagine di me alla quale ero abituato riferirmi e senza neanche rendermene conto darò ad essa la mia energia, rafforzando questo schema a discapito del mio desiderio originale. A questo punto, dovrei chiedermi se voglia veramente la promozione o preferisca continuare il mio compiaciuto teatrino personale di autovittimismo e frustrazione programmata. Pensate, infatti, che prevalga il pensiero migliorativo concepito razionalmente (ottenere una promozione) o il movimento sotterraneo di resistenza al cambiamento che il nostro inconscio ci comunica, facendo sorgere ogni sorta di dubbi e recriminazioni?


Questo semplice esempio ci fa comprendere che occorre valutare a fondo la sincerita di ciò che desideriamo per noi stessi ed essere altrettanto abili ad accorgerci se si innestano in noi schemi che anziché promuovere la nostra crescita ci danneggiano. Come fare quindi, per evitare di voler costruire una tela che gran parte di noi stessi tenderà a disconoscere, lavorando nell’ombra per disfarla? 
Imparare a bilanciare le modalità con le quali agiamo, orientandoci verso i principi del pilastro dell’equilibrio, è un modo molto pratico per trasformare la nostra vita senza incorrere negli inconvenienti dell’autosabotaggio. In questo processo di riequilibrio, ciascuno è chiamato a sviluppare ciò in cui è ancora deficitario. Pertanto, le indicazioni più utili lungo il percorso non sono tanto i nostri punti di forza, quanto le nostre lacune, che ci mostrano la strada da seguire. Sono loro le nostre lanterne più luminose sulla via delle potenzialità.


lunedì 23 giugno 2014

La notte di San Giovanni Battista

Io vi battezzo con acqua, in vista del ravvedimento;
ma colui che viene dopo di me è più forte di me,
e io non sono degno di portargli i calzari;
egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco.
(Vangelo di Matteo)

Uno dei momenti più magici dell'anno è la notte tra il 23 e il 24 giugno: tradizionalmente consacrata a San Giovanni Battista, questa ricorrenza costituisce una potente sintesi del connubio tra i riti pagani legati al solstizio d'estate ed un sapere più antico, di origine misterica, basato sull'osservazione dei rapporti dinamici tra Cielo e Terra.
Accade ogni anno: una volta varcato il portale del solstizio, il Sole comincia a decrescere sull'orizzonte. Così a giugno l'estate sembra appena cominciata, ma in realtà la luce inizia già a diminuire sensibilmente e continuerà a calare fino al solstizio d'inverno, quando solo dopo aver superato la notte più lunga dell'anno il potere solare tornerà gradualmente ad aumentare. Al contrario, quella di San Giovanni Battista è ritenuta la notte più breve dell'anno, durante la quale si usa propiziare il sorgere del Sole accendendo dei falò purificatori, dove si bruciano le vecchie erbe, e procedere al nuovo raccolto officinale, avvantaggiandosi degli influssi planetari particolarmente intensi captati dalle piante e in generale dalle forze della natura.


Il periodo maggiormente propizio si estende dal tramonto del 23 giugno al mattino del 24, protagonisti sono il potere vivificante del fuoco planetario (l'amore, simboleggiato dall'unione del Sole e della Luna), posto sotto la supervisione dell'arcangelo Uriel (letteralmente “luce di Dio”) e le virtù terapeutiche dell'acqua (il Sole si trova nel segno zodiacale del Cancro, appartenente all'elemento Acqua) consacrata al santo Battezzatore o Precursore dello Spirito.
Quest'anno il momento di massimo splendore del Sole, il solstizio d'estate avvenuto il 21 giugno alle ore 12.51, ha visto trionfare l'influsso del pianeta Venere, attivo nel far risplendere la Luce in ogni essere (Venere è altresì noto come Lucifero, letteralmente “portatore di Luce”) grazie al transito di Marte in Bilancia e Giove in Cancro. Pertanto, giugno 2014 si rivela un mese catartico, ricco di opportunità per radicare una nuova consapevolezza lungimirante e orientata all'unità tra Uno e Tutto. Durante la notte di San Giovanni, l'Ultimo Quarto di Luna si troverà in perfetta armonia con il Sole, fungendo da collegamento ideale tra Cielo e Terra, tra le energie maschili e femminili che sostengono e sostentano la vita.


Da tempi immemori si tramanda che in questa notte le streghe si radunano per il loro gran convegno annuale sotto le fronde del noce, e di buon mattino è opportuno cogliere i frutti immaturi e madidi di rugiada di quest'albero druidico per preparare un nocino dalle innumerevoli proprietà benefiche. Sono altresì potenziate le virtù terapeutiche delle erbe raccolte in questo periodo, specialmente l'iperico, un versatile toccasana noto come erba di San Giovanni o “scacciadiavoli” proprio perché anticamente veniva portato come amuleto per proteggersi dai sortilegi. È il momento migliore anche per raccogliere altre piante benefiche e protettive come l'artemisia, consacrata alla dea Artemide, la verbena o “erba della doppia vista”, l'arnica, l'erica, il ribes rosso e il raro fiore della felce. Inoltre, è usanza raccogliere foglie e fiori di lavanda, menta, ruta e rosmarino che insieme all'iperico si metteranno in un recipiente colmo d'acqua da lasciare all'aperto per tutta la notte: la mattina seguente con questa acqua di San Giovanni, e altre sue varianti contenenti misticanze specifiche in base alle ricette tramandate da ogni tradizione locale, le donne compiono abluzioni che aumentano la bellezza e preservano dalle malattie. Sempre al mattino presto, il giorno di San Giovanni si raccoglie la rugiada, un distillato delle energie confluite nelle acque notturne, considerata particolarmente efficace come elisir di fertilità e per acuire la vista.
L'influsso di San Giovanni Battista è notoriamente favorevole alla divinazione. Chi cerca l'amore, ad esempio, durante la notte potrà interpretare gli auspici della chiara d'uovo o del piombo fuso in acqua, delle fave o dei fiori di cardo di cui si scruteranno i mutamenti al mattino seguente.


Per ogni cercatore che abbia intrapreso un percorso di Lavoro su di sé è comunque il momento di estrarre la carta dell'anno, l'Arcano Maggiore che lo guiderà nei successivi sei mesi. L'ideale sarebbe radunarsi all'aria aperta, sotto il segno della triade, in gruppi di tre persone, così che ciascuna a turno possa preparare il mazzo dal quale un'altra estrarrà la propria carta. Consiglio di procedere nel modo seguente:
  • Allo scoccare della mezzanotte tra il 23 e il 24 dicembre si mescolino le carte del mazzo di Tarocchi maggiori, concentrandosi nella visualizzazione del proprio fuoco interiore (è appropriato chiedere assistenza al proprio angelo custode o spirito guardiano);
  • Si dispongano le carte coperte del mazzo a ventaglio sul prato o sopra un ripiano, possibilmente in materiale naturale (legno, pietra...);
  • Si formuli interiormente e con chiarezza l'intento di estrarre la propria carta dell'anno;
  • Si passi la mano non dominante (chi è avvezzo alla lettura delle Carte saprà regolarsi anche diversamente) lentamente sul ventaglio di carte, focalizzandosi sulle sensazioni percepite fino ad individuare una carta specifica;
  • Si estragga una carta con la certezza di avere scelto la propria carta dell'anno.
La carta estratta costituisce una rappresentazione simbolica del Lavoro che si è chiamati a fare nei successivi sei mesi di percorso. È tradizione meditare sul significato di questa carta, avvalendosi dei consigli dell'angelo e degli spiriti guardiani, e tenerlo presente per orientarsi nei momenti in cui si deve compiere delle scelte o in situazioni particolarmente significative, nelle quali ci si aspetta che esercitiamo consapevolmente e sempre con maggiore maestria il libero arbitrio. La carta dell'anno funge da "guida passiva", cioè oggetto di meditazione e riflessione, nei primi sei mesi dal momento in cui viene estratta. Diventerà "attiva" nei restanti sei mesi dell'anno, quando il cercatore comincerà a vedere manifestarsi la trasmutazione annunciata dall'Arcano prescelto, ovviamente sulla base del Lavoro effettivamente svolto, mentre già un'altra carta dell'anno verrà estratta come "guida passiva" e guru della nuova stagione. Non a caso, la seconda estrazione della carta dell'anno avviene durante la notte di San Giovanni Evangelista, di cui racconterò in un'altra occasione.
Per tutti gli esseri di buona volontà armati di umiltà, sapienza e virtù siderale questa notte rappresenta l'inizio di una felice trasmutazione e un'occasione di crescita, riflessione e convivio con le forze dell'universo. Anche tu, che stai leggendo queste righe, hai l'opportunità di tenere alta la fiamma della consapevolezza a beneficio del pianeta e di tutta l'umanità! 

Mariavittoria




lunedì 9 giugno 2014

Chi giudica chi?


Voi non giudicate
per non essere giudicati,
perché col giudizio con cui giudicate
sarete giudicati
e con la misura con la quale misurate
sarete misurati.
Gesù

Solitamente funziona così.
Qualcuno ci critica, magari aspramente e subito ci sentiamo giudicati, attaccati ingiustamente. Allora ci lamentiamo, spesso inconsciamente, o meglio automaticamente, recriminiamo, elencando una miriade di se e di ma volti ad accampare scuse e giustificazioni di ogni sorta a sostegno del nostro malcontento... Magari iniziamo anche un dialogo interiore approfondito, nel quale immaginiamo lo svolgimento del nostro personale regolamento di conti verbale, oppure ci sfoghiamo apertamente, manifestando senza remore tutta la nostra amarezza.
Capita spesso, lo vediamo o sperimentiamo quasi ogni giorno, ma è davvero inevitabile? Qualcuno ci attacca e ci giudica per puro capriccio? Siamo delle vittime sacrificali del caso che ha voluto incappassimo in soggetti particolarmente suscettibili o poco evoluti?



Facciamo un passo indietro, disidentificandoci dal nostro vissuto, e rendiamoci conto della realtà: quel commento o quella persona è giunta a noi per un motivo e in generale ogni situazione suscita in noi determinate reazioni per ragioni precise. Potremmo chiamare questa legge karma, ricordando che questa parola intende il processo di causa ed effetto in un ciclo temporale dilatato e non necessariamente consequenziale. Dunque, siamo come antenne che trasmetto un segnale nello spazio: qualsiasi risposta riceviamo deve tener conto del tempo di differita. Riceviamo sulla base di ciò che trasmettiamo, è la legge di risonanza a stabilire la frequenza della nostra esistenza, null’altro. Se siamo amore, manifesteremo amore e riceveremo amore, se la nostra frequenza dominante è di pace e tranquillità, riceveremo pace e tranquillità, se siamo critica e giudizio, non dobbiamo stupirci di ricevere critiche e giudizi. Tutto ciò è legge, il differenziale però ci induce a riflettere non sul se, bensì sul quando capteremo una risposta alle nostre emissioni. 
Ora, cerchiamo di essere onesti. Che cosa facciamo per la maggior parte del tempo, fomentati da un interpretazione disfunzionale del mondo nel quale siamo chiamati a sperimentare? Giudichiamo.
Squadriamo le persone dall’alto in basso, stabiliamo a colpo sicuro che cosa sia giusto e sbagliato, ci paragoniamo continuamente agli altri per sottolinearne le incongruenze, le atipicità, gli atteggiamenti che reputiamo inappropriati e, contemporaneamente, forniamo una serie completa di soluzioni, di correttivi, o di commenti, prevalentemente negativi, ai loro comportamenti. Il proliferare incontrollato di critiche avviene per lo più come un riflesso condizionato, uno schema che, avendo creato un solco nel nostro essere, si manifesta con particolare virulenza ed in modo inconsapevole. Il pettegolezzo ed il giudizio cronico sono vere e proprie malattie psichiche, alimentate e diffuse capillarmente dall'inconsapevolezza o dall'incuria di chi non presta attenzione alle proprie esternazioni futili o controproducenti, in termini di pensieri, parole ed azioni.


Il primo passo avanti è, naturalmente, portare alla luce questi nostri atteggiamenti, disseppellirli dall’oblio reattivo che li nutre. Predisponiamoci ad un’attenta analisi di noi stessi. E alla consapevolezza. Non cadiamo però nell’errore di giudicare a nostra volta noi stessi. Il che è, sicuramente, un errore comune. Anzi, la radice del problema. Il giudice interiore dentro di noi si erge ad inappellabile portavoce di un bisogno di categorizzare e definire. Il dominio della critica più dannoso è quello esercitato contro noi stessi, che “impera et divide” (cioè prima comanda e poi divide). Proviamo ad ascoltarci e a prendere debita nota di tutti i “Ma che stupidaggine ho detto”, “Non ce la posso fare”, “Che maldestro che sono stato” e così via. Sono tutte sentenze che proclamiamo contro noi stessi. Stiamo attenti, perché esse tolgono potere alle nostre potenzialità, ancorandoci ad una realtà soggettiva limitata ed autolimitante. 
La critica è un vortice insidioso che risucchia le energie e proietta vibrazioni verso il basso. Procede per esclusione, toglie le forze interiori e le imbriglia in un vago moto rancoroso nei confronti degli altri e di noi stessi. Occorre vigilare ed esercitare uno dei più potenti strumenti che abbiamo a disposizione: l’arte dell’accorgersi. Proviamo a chiederci in ogni momento chi giudica chi? Nuove porte sui territori della coscienza si apriranno davanti a noi.
Fabrizio









lunedì 26 maggio 2014

Mille immagini riflesse

Basta guardare qualcuno in faccia un po' di più, 
per avere la sensazione, alla fine, 
di guardarti in uno specchio.
Paul Auster


È straordinario e, specialmente all’inizio, sorprendente, una sorpresa che rasenta l’incredulità, soprattutto quando si converge su se stessi e non ci si accontenta di parlare a livello teorico:
Gli altri, le persone che ci circondano, che animano la nostra vita, parlano a noi, parlano di noi, incessantemente. Chiunque pensi che esista qualcosa di esterno, là, lontano, che non sia in intima connessione con noi, pone dei seri limiti alla conoscenza delle leggi che regolano la vita. Noi stessi, quando guardiamo gli altri e formuliamo su di loro giudizi, ne esploriamo il carattere e ci lamentiamo dei loro comportamenti, delle loro manie, delle asperità delle loro parole, in realtà stiamo guardando il nostro specchio personale preferito.



Anche se siamo disposti ad ammettere che questa è la regola generale, all’inizio pensiamo comunque che ci sia un cospicuo numero di eccezioni. Siamo convinti che quella persona antipatica “meriti” la nostra disapprovazione: è lei ad essere odiosa, il suo atteggiamento è oggettivamente sopra le righe, è impossibile non essere infastiditi dai suoi difetti. Tutto questo è palesemente falso: non sono le azioni in sé ad essere buone o cattive, è soltanto la nostra percezione che, filtrata dalla nostra sensibilità, le fa risuonare alla nostra frequenza. Questo per un motivo molto semplice: perché nonostante le apparenze vogliamo risolvere e guarire le nostre ferite e così richiamiamo intorno a noi persone, circostanze, avvenimenti che costantemente ci ricordino di lavorare su quanto ancora non abbiamo risolto.



Ricordate cosa disse Gesù mentre lo stavano crocifiggendo? Perdonali Padre perché non sanno quello che fanno; egli non percepiva l’aggressività dei suoi carnefici poiché in lui non vi era alcuna traccia di questo comportamento reattivo. Analogamente, uno stesso avvenimento “problematico” può lasciarci indifferenti o suscitare un gran numero di reazioni diverse. Quando questo avviene, è pratica utilissima chiedersi il motivo della nostra insofferenza, perché è in questo lavoro di analisi che si nasconde la chiave per decodificare i segnali che il nostro sé più profondo ci manda per guarire. Ed i segnali sono ad esempio il confrontarsi con persone “fastidiose” che in realtà richiamano l’attenzione su parti di noi stessi che dobbiamo riconoscere, affrontare ed integrare. 
Le qualità negative che percepiamo negli altri sono solo riflessi di noi stessi, sui quali siamo chiamati ad aprire gli occhi. Le qualità positive che ammiriamo negli altri sono ugualmente delle parti di noi stessi che siamo chiamati a far uscire dall’ombra. Se le abbiamo riconosciute negli altri, sono presenti, latenti ed in potenza, anche in noi stessi. È impossibile riconoscere qualcosa negli altri che non sia presente anche in noi stessi.
Le cose sono semplici (ma questo non significa che siano facili) e basta cambiare la prospettiva per trasformare la vita quotidiana in uno straordinario ed impareggiabile strumento pratico di lavoro su di sé. Non è meraviglioso?

Fabrizio





lunedì 12 maggio 2014

Spunti di meditazione

Se la tradizione riflette la conoscenza,
la spiritualità vive nella pratica.


Stavo meditando – precisamente lavando i piatti - quando sono affiorate alla mia coscienza le parole che ho scelto come citazione per questo post. Più che a me, credo appartengano all'umanità, perché racchiudono verità trasversali interessanti, che ci rendono consapevoli della dimensione in cui si manifesta l'insegnamento autentico: la vita quotidiana.


L'unico insegnamento effettivo, nell'universo dell'azione, è l'esempio, e anche dal punto di vista della dimensione temporale ci troviamo in un periodo nel quale questo principio cosmico risulterà sempre più chiaro. L'energia sulla Terra si sta elevando: più aumenta la luce, più le ombre diventano evidenti. Per non reagire meccanicamente alle sollecitazioni esterne, ormai sempre più numerose, frequenti e complesse rappresentazioni di una realtà sottile in piena trasmutazione, e poter cogliere l'opportunità in ogni situazione, è necessario mantenere la propria centratura, la consapevolezza del qui ed ora e la connessione con l'essere divino e imperturbabile di cui siamo parte e veicolo di conoscenza. In questo basilare lavoro su di sé la meditazione sicuramente è di grande aiuto, perché tra i suoi molti benefici offre la quiete della mente e l'accesso alla fonte della pace interiore.


Meditazione significa essenzialmente consapevolezza, la capacità di riconoscere ciò che è e di osservarlo semplicemente così com'è, ed è a questa azione nella non azione che occorre dedicarsi per lasciare spazio all'evoluzione. Più meditiamo, più aiutiamo noi stessi e l'intero pianeta. A volte però, anche quando abbiamo intenzione di fare bene, è il piccolo io ad avere la meglio, trascinandoci in una spirale discendente di comportamenti solo all'apparenza consapevoli. Non è affatto raro che i cercatori in cammino incorrano in simili deviazioni di percorso e abbiamo già riflettuto sulle convinzioni fuorvianti dell'ego spirituale. Oggi però intendo ribadire un concetto fondamentale, parafrasando la riflessione di Andrea Panatta apparsa su un vecchio numero di OltreConfine: se dopo aver meditato tre ore sul vuoto, al primo screzio con il partner dai di matto e magari ti convinci anche di avere un buon motivo per essere fuori di te, c'è un problema e certamente non ha a che fare con l'altra persona o con la situazione, bensì con il tuo approccio disfunzionale alla meditazione. Come tutte le discipline spirituali, che si chiamano pratiche proprio perché la loro componente essenziale sta nell'esperienza e non nella teoria dell'illuminazione, la meditazione migliora il rapporto con te stesso e con la realtà qui ed ora. Dunque, se a seguito della pratica torni immancabilmente a dare il peggio di te, non è perché la meditazione non funziona; molto probabilmente è quel particolare esercizio ad essere inadatto per te in questo momento.


La meditazione funziona sempre: se il metodo che utilizziamo non apporta benefici, evidentemente esso non è commisurato alla nostra condizione presente ed è opportuno scegliere più sensatamente. Per sapersi orientare bisogna imparare ad ascoltarsi e ad essere sinceri con se stessi nel riconoscere sia le proprie aspirazioni sia i propri limiti attuali. È possibile che trascorrere ore nella posizione del loto costituisca uno sforzo insensato per un occidentale; è altrettanto possibile che perfino gli esercizi di meditazione a scopo divulgativo, ormai diffusissimi e strutturati in base al livello del praticante, non siano adatti ad ogni contemporaneo, specialmente se non si può avvalere di una guida esperta, perché certo Nessun uomo è un Maestro ma anche su questo pianeta la disciplina e la tradizione vengono impartiti dai buoni insegnanti solo ad allievi pronti a riceverle. Comunque anche questo non è un problema. Per raggiungere uno stato meditativo non è affatto necessario meditare, almeno non nel senso tradizionale del termine. Abbiamo già descritto il modo in cui fare ordine, ad esempio in casa, possa costituire un'ottima meditazione, ma esistono molti altre attività adatte ad esercitare la pratica di uno stato meditativo. Cercherò di portarne alla tua attenzione alcune che nella mia esperienza si sono dimostrate veramente potenti e utili, nel frattempo ti invito a osservare attentamente la tua quotidianità: quali mansioni ti immergono spontaneamente in uno stato meditativo? Qualunque esse siano, sicuramente rappresentano un ottimo spunto grazie al quale approfondire il cammino della consapevolezza.

Mariavittoria




lunedì 28 aprile 2014

Perché no?

Niente è duraturo come il cambiamento
Ludwig Borne

Guardando il video di Andrea Pietrangeli mi imbatto in un pensiero davvero degno di nota: se nell’ultima settimana sono rimasto uguale a me stesso, interamente aderente a ciò che di me già conosco, sicuramente dovrebbe suonare un campanello di allarme.
La questione sta realmente in questi termini. Innanzitutto non si pensi che il lasso di tempo di una settimana sia un’esagerazione: l’accelerazione è certamente in atto e noi siamo chiamati a tenerne conto. La chiave di volta è dunque la parola cambiamento. Che cosa significa cambiare e perché è così importante? Iniziamo dalla seconda parte della domanda. Il cambiamento è fondamentale in un primo tempo per farci uscire dallo stato di inerzia, di abitudine a cui i tanti “noi” (famiglia, scuola, istituzioni, società, coppia...) ci vincolano, limitando in modo implicito ma inesorabile il potenziale di espressione di ciascuno. Cambiamento, quindi, inteso come strumento per uscire da un mondo meccanico, automatico, proprio di una macchina biologica addormentata. Cambiamento come metodo per modificare il proprio comportamento da reattivo (semplice adeguamento istintivo ad uno stimolo) a proattivo (gestione cosciente del proprio agire). Sulla strada che porta al risveglio, il cambiamento è il propellente che permette alla nostra fornace di continuare ad ardere e di spingerci ad avanzare lungo il cammino.


L’anima accoglie con entusiasmo il cambiamento, perché anela fare nuove esperienze evolutive e, quando anche l'io cosciente si sincronizza sulla stessa frequenza vibrazionale, la vita viene inondata dalla luce della pienezza del momento presente e di tutte le enormi potenzialità dell'essere consapevole. Cambiamento non è una parola astratta, anzi: sottende alla concretezza, all’azione, all’esperienza.
C’è un metodo molto semplice per accorgersi precisamente di dove il cambiamento non trova spazio: osservare la propria vita con un certo distacco, quasi come fosse l'esistenza di qualcun altro. In questo stato, provo a stilare una lista dettagliata di tutte le cose che faccio sempre nello stesso modo, giustificato da parole come abitudine, utilità, ottimizzazione, fretta, o da altre insensatezze quali le apologie riguardo al “perché fanno tutti così e se si è sempre fatto in quel modo un motivo ci sarà”. Inserisco subito la strada che percorro ogni mattino, la sequenza di azioni prima di coricarmi o i gesti che seguono il risveglio; aggiungo tutti i luoghi comuni personali costruiti nell'arco di una vita di distratta delega della propria libertà di vivere l'esperienza a vantaggio dell'interpretazione comune, pedissequa, in omaggio ad una maggioranza non meglio identificata né identificabile di individui che affermano “vorrei leggere ma non ho tempo”, “il venerdì si mangia pesce”, “il sabato si fanno le pulizie”.
Dopo aver compilato la lista, mi dedico, sistematicamente, a ciascun elemento dell’elenco e la semplice osservazione dei fatti lascia emergere alcune riflessioni. Ha davvero senso per me svolgere questa azione in questo modo? Posso vedere le cose da un altro punto di vista? Posso provare a cambiare prospettiva e ad agire diversamente? Posso concedermi il diritto e la soddisfazione di rompere una coerenza inutile e dannosa? Posso imparare cose nuove scrollandomi di dosso lunghe serie preconfezionate di pensieri, gesti, azioni e ampliare i miei orizzonti? Insomma, perché no?



Se fin da piccoli ci è stato insegnato ad aprire il nostro compasso il minimo indispensabile per disegnare un cerchio entro cui definire i nostri limiti e confini, in ogni momento possiamo renderci conto che è sufficientemente agevole puntare il laser dell'attenzione e ridefinire anche quei contorni che sembravano indelebili. Così dal disegno della nostra esistenza svaniscono le illusioni e riemerge la vivida sensatezza di ogni dettaglio deliberato nei minimi particolari, proprio come la realtà che costruiamo ad ogni respiro.
Fabrizio







lunedì 14 aprile 2014

Mondo interiore e mondo esterno



Fate che la vostra mente e tutte le cose agiscano come un tutto
Dogen Zenji


In questo post vorrei provare a introdurre due aspetti della stessa realtà, due metodi di trasformazione che utilizzano due modi diversi di interagire con l'indissolubile legame che c'è tra noi e il mondo. Si tratta di due approcci opposti ma ugualmente “funzionanti”.

Più volte abbiamo detto che tra la nostra realtà interiore e il mondo esterno sembra esserci un legame più stretto di quanto normalmente siamo abituati a pensare. Molti di voi si saranno accorti che dal momento in cui hanno provato a cambiare il loro atteggiamento interiore, in poco tempo è iniziato a succedere qualcosa anche nel mondo esterno.



Si potrebbe dire che è cambiato qualcosa nel risultato che il mondo ci ha restituito. Infatti, proprio come in un computer, inserendo un certo tipo di dati ed eseguendo determinate operazioni riceveremo un risultato, mentre eseguendone altri ci verrà dato un output totalmente diverso.
Nella vita il nostro atteggiamento è l'input che inseriamo nel computer, il comando che liberiamo nel mondo. Il mondo a sua volta, come un immenso meccanismo, reagirà restituendoci un certo risultato.

La metafora del computer però non è del tutto esatta, in quanto un computer restituisce risultati prevedibili, sappiamo fin dall'inizio che a una certa azione corrisponde un output predeterminato.
Nel rapporto tra noi e la realtà, invece, le cose non sono così scontate. Chi di noi è già abituato a pensare in questi termini tende spesso a fare proprio questo errore, cioè considerare per esempio che un atteggiamento interiore di positività e apertura, debba necessariamente portare direttamente a un risultato positivo.

Ma il mondo a differenza di un computer è incredibilmente creativo e anche decisamente più lungimirante di noi. Molti infatti avranno sperimentato scenari quasi totalmente opposti e a prima vista incomprensibili. Per esempio ad un cambiamento in positivo dell'animo potrebbe essere risultata una "catastrofe" in ambito lavorativo o sentimentale.
Questo accade perchè la realtà ci restituisce un risultato che è davvero positivo per noi, che è davvero quello di cui abbiamo bisogno, e anche se al momento ci può sembrare un disastro, possiamo essere fiduciosi che a lungo termine il cambiamento porterà un risultato positivo. Magari non facile da comprendere, ma sicuramente risvegliante.



La giornata dei monaci inizia dalle pulizie:
ramazziamo il giardino, puliamo il cortile, tiriamo a lucido il santuario.
Non tanto perchè siano effettivamente sporchi o in disordine,
quanto perchè tali azioni hanno il fine ultimo 
di eliminare dallo spirito qualsiasi ombra.

Keisuke Matsumoto


Il secondo metodo di trasformazione legato all'interazione con la realtà al quale vorrei accennare oggi è esattamente l'opposto di quello di cui abbiamo parlato fin'ora: si tratta dell'influenza che l'ambiente esterno può avere su quello interiore. Anche in questo caso il funzionamento non è così scontato come si potrebbe pensare, tanto è vero che alcune antiche tradizioni, come quella cinese del Feng Shui o il buddhismo di corrente Zen, pongono moltissima attenzione a questi meccanismi.


Pochi di noi sono abituati a pensare che attività fisiche piuttosto ordinarie, come sistemare gli oggetti in una stanza o fare le pulizie di casa, possano avere una grande influenza sul nostro stato interiore. Anzi, spesso si cerca di sbarazzarsi di queste incombenze in modo frettoloso e disordinato, senza rendersi conto che proprio questo atteggiamento può essere causa di una tensione interiore che può protrarsi nel tempo.
Consciamente o inconsciamente, ogni volta che passeremo di fianco a quel foglio che non abbiamo archiviato, o a quel soprammobile gettato alla rinfusa, senza attenzione, la mente ci manderà un segnale di disturbo, che alla lunga genera stress e confusione.

Per questo è importante per esempio occuparsi con cura delle pulizie domestiche e mettere in ordine gli ambienti in cui viviamo con calma e attenzione, in modo da creare le basi per coltivare una condizione interiore più rilassata e innescare un circolo virtuoso che può portare a un miglioramento graduale della salubrità dell'ambiente esterno e contemporaneamente alla nascita di una nuova serenità interiore.



Quando posate una pentola in malo modo sbattendola, essa grida di dolore.
Se non siete ancora capaci di udire quel grido, 

non si può dire che siate uomini 
che manifestano lo zazen nella vita quotidiana.
Uchiyama Roshi


Anche in questo caso, a meno che non siamo studiosi esperti di Feng Shui, non possiamo avere il controllo di tutto e sapere esattamente quale influenza potrà avere sulla nostra vita un oggetto posto proprio in quella determinata posizione, ma se ci accostiamo al nostro ambiente con gentilezza, un minimo di sensibilità e attenzione potremo capire come sistemare una mensola o un mobile in modo che non ci urti, in ogni senso.

Pertanto, qualunque sia la direzione di una nostra azione, che sia dall'interno verso l'esterno oppure dall'esterno verso l'interno, che sia l'atto più potente o il più umile, è sempre possibile porre attenzione affinché essa sia un seme positivo per noi stessi e per il futuro del nostro mondo.


Stefano