giovedì 6 giugno 2013

Il ritorno di Diogene


Non si acquisisce la conoscenza
senza un minimo di rischio
(Stephen King, Cell)


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Nel segno dell'erudizione
Per sua natura l’animo umano è portato all’esplorazione. La spinta evolutiva, come un fuoco vivido e silente, ci nutre attraverso la curiosità e ci porta incessantemente a cercare la conoscenza. Quest’ultima non è una parola vuota: si fa viva e si fa carne, ma a condizione che non si limiti ad un mero esercizio intellettuale. Alla fine, nel profondo, all’anima è del tutto indifferente constatare che la personalità si è baloccata con migliaia di libri per il puro gusto di accumulare nozioni, schemi di pensiero e teorie. Di per sé l’erudizione conduce direttamente alla superbia e alla vanagloria che lastrica di illusioni il nostro inferno personale. La conoscenza va esperita, poggia su basi pratiche e non ha bisogno di grandi proclami, solo della voglia sincera di intraprendere il cammino.

Quali indicazioni abbiamo sul giusto atteggiamento per imboccare il sentiero che conduce alla  conoscenza? Molte, forse troppe, tante quante le scintille di spirito che brillano in ogni essere vivente, ma possiamo trovare indicazioni ed ispirazione nel mondo dei simboli, veicoli di senso potentissimi per arrivare al tessuto stesso della nostra essenza, attraverso un linguaggio che, eludendo la razionalità, ci connette con le profondità del nostro io.
Sulla strada ci viene in soccorso il nono arcano dei Tarocchi, l’Eremita. Umile, non modesto, alza la lanterna per illuminare i primi passi sul sentiero. E sono i primi passi che contano, quelli che riusciamo vedere, quelli che possiamo scandagliare con il bastone da viaggio, gli unici che abbiano importanza in quanto reali, nell’adesso. Il cammino si affronta e si costruisce passo dopo passo.   

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Niente sulla terra può renderci più luminosi della conoscenza quando è diretta ad illuminare noi stessi, le nostre profondità insondate.
Se la conoscenza è così importante, da dove arriva quella tendenza opposta che irrompe nelle nostre vite, trattenendo il passo sul nuovo sentiero per dirottarci sulla strada tracciata e sicura?
Accontentarsi.   
È sufficiente ascoltare la vibrazione di questa parola: Accontentarsi.
Riecheggia il suono della contrazione, del chiudersi in se stessi proteggendo con alti fossati il cumulo di schemi, teorie, ipotesi e pregiudizi che ci definisce. La maschera dell’ego, un involucro che da nostra protezione si è fatto prigione del sé.

Dall’accontentarsi all’accettare di rimanere nell’oscurità dell’ignoranza, il passo è brevissimo. Implica un pertinace ed ossessivo arroccarsi in uno status quo indifendibile, fatto di giustificazioni, alibi e volontà di non conoscere, fermandosi prima, fermandosi sempre prima. Prima di farsi troppe domande. Prima di capire che si può osare, che occorre guardare avanti, vivere nel presente e non fermarsi ad un passato che tende incessantemente a replicare se stesso.

Se il rischio è attardarsi ed accontentarsi, il rimedio è semplice, non necessariamente facile, implica una tensione verso l’alto che occorre coltivare. Ci si concentra su un aspetto da sviluppare e gli strumenti arrivano, le risorse, visibili e sottili, si rendono disponibili: a noi spetta compiere il primo passo, quello della scelta, che ci orienta come persone in cammino e irradia la luce della conoscenza nella gioia della ricerca. Il viaggio è la meta: serenità interiore e pace tra gli uomini.
 Fabrizio

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"E' proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante."







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